lunedì 8 febbraio 2010

Sogni di un volontario del soccorso

[E no, non mi fa affatto piacere rimanere coinvolto in sogni del genere. Il soccorso volontario e' bello perche' aiuta chi ha veramente bisogno di una mano, ma e' brutto perche' significa che qualcuno ha vissuto esperienze terribili]
Siamo a bordo di un furgone/pulmino nove posti. Siamo in sette, io sono seduto a destra, nella fila centrale. Accanto a me due ragazze, dietro un ragazzo, davanti una persona un po' piu' avanti nell'eta' rispetto a noi, e ancora un ragazzo e una ragazza. So che sono colleghi [e peraltro indossiamo tutti quanti la stessa uniforme (pero' siamo senza giacca, solo la maglietta: le giacche sono tutte quante ammassate sui due sedili liberi posteriori)].
Non so dove siamo: giriamo dentro le vie e le viuzze di una citta' in un pomeriggio soleggiato. Qualcuno dice che siamo a Messina, ma l'impressione e' che siamo ben lontani dal mare. Il punto e' che ci fermiamo sul bordo di una piazza molto grande per prendere un caffe'. E scendiamo dal furgone, e mentre ci dirigiamo al bar commento "cavoli, pero' fa freschino e sembra che il tempo stia cambiando, quasi quasi mi prendo la giacca", ma in questo istante ci giriamo tutti quanti. Il furgone e' scomparso, e l'autista commenta: "Oh no! Di nuovo! E' diventato di nuovo invisibile! Ma porca miseria ora come lo riprendiamo?"
Lascio i ragazzi che dicono in coro "vabe', dopo ci pensiamo, per ora prendiamo il caffe'", e mi sposto (dato che mi e' scemata la voglia di caffe') verso una vetrina sulla sinistra, accanto al bar. Poi mi infilo sotto una specie di porticato guardando negozi di gadget di ogni genere (compresi piatti in ceramica di Caltagirone misti a bottegucce con specialita' trentine e lavori artigianali in legno molto belli). Continuo questo giro fino ad arrivare quasi in fondo al porticato, e comincio a girare dietro il palazzo di dimensioni generose cui due facciate (quella del bar e quella a destra del bar) danno sulla piazza. In quella comincia a piovere. Cascano quattro gocce, ma non faccio in tempo a ripararmi sotto il tendone di un ristorante sull'angolo del palazzo (il tendone bianco e' perfetto, ma non ci sono i tavoli ne' le sedie, e d'altronde il ristorante e' chiuso). Nel giro di neanche un minuto le quattro gocce d'acqua che erano diventate una pioggia martellante, si trasformano in un'incredibile fortunale con l'acqua che cade letteralmente a secchiate. Guardo in direzione della piazza un colossale fiume in piena alto almeno 20-30 centimetri di acqua limacciosa e poi mi guardo: sono in pantaloni dell'uniforme, scarpe antinfortunistiche e maglietta a maniche lunghe: mi sa che la cosa piu' intelligente e' di restare sotto il tendone aspettando che "scampi" un po' il diluvio, mentre mi rendo conto che comincia a filtrare acqua da sotto il tendone e un rigagnolo di qualche millimetro comincia a bagnarmi le scarpe.
Con orrore quindi assisto ad una scena: a una decina di metri dal tendone passa una coppia con un bambino: moglie e marito sui 35-40 anni, con un passeggino in cui ci sara' un pupo di non piu' di sei-sette mesi. Cercano di ripararlo alla meglio sotto l'ombrello vista l'acqua che viene giu' e grazie al fatto che per fortuna non c'e' tantissimo vento. Ma la scena e' che attraversano la strada diagonalmente con il passeggino lambito dall'acqua, quando all'improvviso la corrente lo trascina via e, dopo neanche un paio di metri, lo ribalta mollando il bambino in acqua di fronte alla madre sgomenta e al padre terrorizzato.
Senza neanche pensare al fatto che questo mi costera' una doccia fuori programma, mi fiondo fuori alla velocita' della luce e, con la sensazione della pioggia gelida che mi sta infradiciando fino alle ossa, mi tuffo letteralmente verso il fagottino che galleggia inquietantemente a pelo d'acqua e che si allontana a buona velocita' in direzione del lato opposto della piazza (la piazza ha una pendenza leggera verso la punta del bar. Non proprio minima, ma non e' neppure tanto ripida, ma la corrente d'acqua appare sufficientemente impetuosa). Arraffo il bambino, acchiappo il padre per un braccio e ci tiriamo indietro sotto la pioggia raggiungendo prima la madre e poi ci ficchiamo di corsa verso il lato opposto della strada, dentro il portone di un albergo. L'uomo che era all'ingresso ed ha assistito alla scena mi strappa quasi letteralmente il bambino dalle mani e lo avvolge in un grosso asciugamano (o una coperta) bianca che gli ha portato qualcuno. I due genitori seguono il dipendente mentre a me si avvicina un tizio in giacca & cravatta che ha tutta l'aria di essere il direttore dell'albergo.
Io: "Presto. Dobbiamo chiamare un'ambulanza!"
Lui: "Non possiamo: i telefoni sono isolati"
Lo guardo con quella che sono sicuro essere un'espressione di pura stizza, poi ficco una mano nella tasca dei pantaloni e trovo il mio cellulare. Vagamente inumidito ma funzionante. Compongo il numero 118 e appena ottengo risposta pianto imperiosamente il cellulare in mano al direttore dell'albergo: "I soccorsi sono in linea, chieda un'ambulanza subito. Io vado a cercare i miei colleghi"
Esco dal portone dell'albergo e affronto di corsa il periplo del palazzo, lungo la piazza e in direzione del bar. Ha smesso di piovere: stanno cadendo letteralmente quattro gocce d'acqua e il fiume in piena che era diventato la piazza lentamente sta scemando. Qualcuno che e' fuori ed ha assistito alla scena mi guarda sbigottito, mentre io mi fiondo quasi dentro il bar, e vengo chiamato dai colleghi fuori: "Mirko! Ca%%o che sfuriata! Tutto bene?"
Io: "No. Per niente."
Mentre mi giro in direzione del collega (l'autista) noto che finalmente il furgone (nota: sto usando questa parola piuttosto che "pulmino" proprio perche' mentre lo guardavo, sebbene fosse un pulmino, continuavo a pensare al mezzo come a un furgone).
Collega: "Ci credo! Sei bagnato come un pulcino! Ma chi te l'ha fatto fare di fare la doccia? Dai che adesso seguiamo un po' di questa festa e poi andiamo!"
Io: "Festa? Quale festa?"
Mentre la collega mi dice questa cosa, mi guardo intorno e mi rendo conto che nonostante l'improvviso fortunale, adesso la piazza si sta gremendo di gente: giocolieri, famiglie, gruppi e gruppi di persone, ognuno con un palloncino ad elio. Qualcuno ha la gentilezza di lanciarmi al volo la mia giacca. La sensazione della maglietta umida che mi si appiccica addosso sotto la giacca non e' delle migliori, ma mentre sta venendo fuori un pallido sole comincio a sentire un piacevole tepore di certo migliore della sensazione degli abiti fradici.
Io: "Ma che ca%%?"
AltroCollega: "C'e' un lancio di palloncini..."
Credo di restare un'eternita' con un'espressione basita mentre le braccia ed altre appendici mi cascano clamorosamente al suolo. Poi quest'eternita' passa in un lampo:
Io: "MACCHISSENEFREGA! Venite con me: abbiamo chiesto un'ambulanza, c'e' un neonato messo malissimo, veloci!"
Nel dire quest'ultima frase mi sono girato sui tacchi e sto tornando di corsa in direzione dell'albergo. L'autista e un altro collega sono partiti immediatamente dietro di me senza battere ciglio. Mi giro e vedo che qualcuno (soprattutto qualcunA) e' rimasto accanto al furgone con un'espressione di puro rammarico, ma poi partono tutti quanti. Mentre sto per girare intorno al palazzo e raggiungere il portone dell'albergo sento la sirena dell'ambulanza che si avvicina (ammazza! Quanto sara' passato? Un minuto? Ma l'autista dell'ambulanza di cognome fa Schumacher?) e ci fiondiamo dentro. L'ultima immagine che vedo e' quella di un paio di paramedici che si avvicendano vicino a un divano sul lato sinistro della hall, mentre si avvicina il direttore che mi porge il telefonino.
L'ultima, perche' la successiva e' la proiezione dell'ora: sono le cinque e quaranta di mattina, ed e' ora di dare una robusta grattata alla testa dell'orsacchiotto ed alzarsi: una splendida giornata di inventario mi aspetta in ufficio. ((-:

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