domenica 27 novembre 2011

Alluvione di Messina - Intevento di montaggio

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Sabato 26 novembre (ieri) sono stato a Barcellona Pozzo di Gotto con i colleghi dell'associazione: nell'area ammassamento della protezione civile abbiamo montato il tendone 24x12 per il refertorio del personale della protezione civile.
In quell'occasione ho girato un filmato con la mia micro-cam (e un altro filmato l'ha girato il collega LF); peraltro ho anche pubblicato delle fotografie (direttamente dal cellulare su twitter).
Le foto sono una decina, e partono da questo link (slideshow), mentre i due filmati sono su Youtube:
In questi giorni dovrebbero anche organizzarsi delle partenze successive per dare una mano nella gestione della cucina ma, in questo caso, a causa dei miei impegni lavorativi in occasione del mese di dicembre, non sarò disponibile.

mercoledì 23 novembre 2011

Alluvione, repeat

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Dato che in Sicilia spesso le cose non si capiscono finché non ci scappa il morto, e qualche volta possiamo sostituire la forma "finché non" con l'equivalente "neppure dopo che". Messina, che vive una situazione idrogeologica veramente sulla lama del rasoio, che ha già visto varie alluvioni, che nel 2009 ha visto spazzare via buona parte della provincia sud-orientale, questa volta a distanza di due anni (e, come ci ha ricordato oggi Striscia la Notizia, dopo che un decreto per assegnare dei fondi è stato rimangiato a causa di un errore mai corretto) vede la parte nord-occidentale messa nei guai.
Sabato 26 novembre, giorno in cui in mattinata avrei dovuto lavorare, e nella serata dedicarmi probabilmente a dare una mano con la raccolta di derrate per il Banco Alimentare, invece ho dato la disponibilità per salire a Barcellona Pozzo di Gotto. Dobbiamo montare l'attrezzatura (un tendone con tavoli e panche) per realizzare il refertorio.
Sarà mia cura aggiornare dai luoghi, poi vediamo come si muovono le cose.

venerdì 11 novembre 2011

La fine del mondo?

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La prossima data per la fine del mondo? Il 13/12/11 alle 11:12:13! Fatela girare anche sugli altri social #profezia2011 #131211-111213
[vediamo se riusciamo a lanciare il fenomeno]

lunedì 7 novembre 2011

L'effetto Kinect

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Le console da videogioco negli ultimi anni sono migliorate tantissimo. E non parlo della qualità grafica o del livello di dettagli realistici dei videogiochi, bensì soprattutto del giocabilità stessa dei videogiochi.
Se prima si passavano i pomeriggi seduti sul divano con un joystick più o meno ingombrante fra le mani, adesso sempre più videogiochi lasciano gli utenti non solo spiazzati, ma soprattutto sudati, pieni di acido lattico e letteralmente doloranti al termine di una partita pesante.
Non parlo di realtà virtuale aumentata, bensì di un nuovo sistema di approcciarsi all'idea stessa del "game controller", rendendo l'utente parte integrante del controller stesso.
Ci sono stati vari progetti (a cominciare dai vari "tappeti interattivi" per ballare), ma la primo innovazione partita da un'idea completamente nuova è stata la Nintendo, che ha sviluppato il progetto della console "Wii" e, soprattutto, del telecomando multiuso "Wii-Mote": grazie a un accelerometro e alla lettura della posizione di una barra a infrarossi che viene posizionata sotto il televisore, è possibile scoprire un nuovo modo di interfacciarsi ai videogame: non basta più sedersi comodi sul divano e premere dei tasti: ora se si vuole che il tennista tiri una schiacciata bisogna faticare e tirare fisicamente la schiacciata come se si avesse la racchetta in mano!
In mezzo a tutto questo ragionamento arriva anche Microsoft, in questo caso come produttore della console XBOX-360. Perché rispetto agli altri vuole portare un'altra innovazione, e arriva al concetto in cui il videogiocatore stesso è il controller del videogioco, ma senza bisogno di altri ammenicoli.
Nasce il Kinect, un controller basato su una telecamera infrarossi e una telecamera VGA accoppiate, assieme a una serie di microfoni: un sistema che comprende la profondità 3D dell'ambiente e riesce, in tal modo, a identificare la persona che si trova davanti all'apparato e a stilizzarne lo "scheletro" potendo quindi determinare la sua posizione e i suoi movimenti, per utilizzarli nell'interazione con il videogame.
Ma succede a questo punto una cosa molto particolare: come era successo col Wii-Mote (e con altri sistemi) qualcuno aveva pensato bene di smontare il controller, capire come funzionava e cercare di trovarne un uso alternativo. Ad esempio per tracciare la posizione della testa, con l'esperimento di Johnny Chung Lee.
Quello che succede col Kinect di Microsoft è un fenomeno non del tutto dissimile: arriva qualcuno che scopre che alla fine è una normale connessione USB, prova a collegarlo al computer e si arrovella per realizzare un driver che permetta di utilizzarlo come periferica.
Ma a questo punto succede l'incredibile. Da una parte i progetti si susseguono uno dietro l'altro, e ora non pubblico i video per non saturare la pagina, ma vi mando qualche link:
Ma poi un filmato glielo metto proprio. Perché quello che succede in Microsoft è una reazione duplice. Da una parte il team di sviluppo si sente un tantinello incavolato perché qualcuno ha fatto dei lavoracci per niente presupposti dalla casa madre per riutilizzare il loro controller da gioco in altri modi...
... ma dall'altro, in Microsoft stessa, apprezzano quello che sta venendo fuori, e per una volta decidono di sostenere questo gioco di "pirateria sociale": nessuno ha scoperto i protocolli che danno il funzionamento della periferica per truccare i videogiochi, quello che è stato fatto è stato, semplicemente, utilizzare la periferica attraverso la sua porta USB, per fare qualcosa di diverso.
E poi questo qualcosa di diverso è diventato qualcosa di interessante. Di molto interessante, quando ha cominciato a coinvolgere università, progetti medici, progetti tecnologici, progetti di ogni genere. A questo punto Microsoft ha deciso di condividere questa cosa, e di renderla addirittura più semplice, rilasciando addirittura una SDK gratuita per sviluppare con Windows progetti in Visual Studio.
Ma non solo, perché ha dedicato una sezione del sito a quello che è diventato il fenomeno, anzi, per usare le parole di Microsoft, l'effetto Kinect.
Per concludere, quindi, vi regalo la campagna pubblicitaria proprio sull'argomento:

sabato 5 novembre 2011

Gli occhi di Magenta, ancora un articolo

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Francesco Candelari qualche mese fa è uscito con "Gli occhi di Magenta", un romanzo di fantascienza "impegnato", che tratta di argomenti "scabrosi" come la possessione demoniaca, ma che ci racconta, con il piacere di un romanzo, la storia di questa giovane ragazza, Magenta, costretta a convivere con un mostro ma anche a vivere la sua vita.
Il racconto mi è piaciuto molto (e ve ne avevo già parlato qualche tempo fa) ma oggi voglio rinnovare gli auguri a Francesco, non solo per il quarto libro che sta avendo un grande successo, non solo per gli altri romanzi che ha già in cantiere, ma innanzi tutto per lo splendido articolo che gli è stato dedicato sul quotidiano "La Sicilia" qualche giorno fa. (-:
Il nostro amico infatti non solo continua a fare il suo lavoro di farmacista, ma per di più da sempre più spesso sfogo alla sua passione per la fantascienza con progetti sempre nuovi ed intriganti.
E poi aggiungo alla mia personale #pacca_sulla_spalla all'amico e collega scrittore, anche l'idea del nostro prossimo "progetto a quattro mani" che lentamente sta prendendo piede, e nei ritagli di tempo stiamo plasmando anche questo prossimo lavoro. La vena di scrittore che non si ferma mai: il suo quinto romanzo è in dirittura d'arrivo e, posso dirlo con il cuore in mano, visto che ho l'onore di aiutarlo nella rilettura ed impaginazione, che è un'altra storia coinvolgente e che merita veramente, ma per quello vi rimando alla sua prossima pubblicazione. Per ora non mi resta che ricordarvi ancora una volta, a proposito di "Gli occhi di Magenta" il suo numero ISBN: 978-1-4477-2335-6 per trovarlo in libreria, e il link della vetrina virtuale di Francesco su Lulu.com dove è possibile acquistarlo direttamente on-line.

martedì 1 novembre 2011

Maltempo, a proposito di rischi

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In questi giorni il maltempo che si è abbattuto al nord Italia è riuscito in una terrificante serie di danni che hanno coinvolto il circondario delle Cinque Terre e non solo: la pioggia ha provocato una vera e propria catostrofe danneggiando luoghi, case, automobili e persone. E non è manco finita, perché il maltempo continua a spostarsi e persino qui da noi in Sicilia e nel siracusano non siamo messi tanto "freschi e tranquilli".
Ma è proprio di questo che voglio parlare per un attimo. Perché naturalmente in mezzo alle persone che sono rimaste "ferite" nell'animo a vedere il lavoro di tanti anni distrutto con un paio d'ore di pioggia, ci sono anche quelle persone che sono rimaste ferite fisicamente, quando non disperse o addirittura uccise dalla furia degli elementi.
Soprattutto di una persona, perché è una cosa che mi tocca come volontario di protezione civile: perché questa persona si chiamava Sandro Usai. Di origini sarde, volontario di protezione civile dell'area di Monterosso, che è stato letteralmente spazzato via da un'onda di piena, e il suo corpo è stato ripescato in mare dopo qualche giorno...
Voglio parlare di lui per un motivo molto importante e, mi dispiace dirlo, il motivo non è quello di osannare un eroe comune.
Perché Sandro è stato un collega, e fra noi volontari ci definiamo anche amici vicini e lontani: siamo tutti accomunati dal bisogno di renderci utili agli altri senza un tornaconto economico. Ma Sandro è stato un collega che è morto. Ed è morto non nel tentativo di compiere un'azione eroica, bensì nell'aver fatto un grave, fatale errore.
Partiamo un momento da una breve digressione. Come ho detto siamo volontari, ossia "persone con buona volontà" che (almeno nel mio caso) preferiscono all'indignarsi e/o commuoversi di fronte alle notizie di cronaca del telegiornale, alzarsi le maniche e andare a dare una mano più concreta ed efficace. Diciamo che ci da più soddisfazione di dire, davanti alla tv "Oh, poverini. Vabè, che ha fatto la squadra di calcio, invece?".
Ebbene. Entriamo in un'associazione di volontariato. Facciamo la gavetta, studiamo, facciamo soprattutto i volontari, ossia ci organizziamo per partire nelle situazioni più complesse per dare una mano d'aiuto durante le emergenze. E che cosa succede? Succede che impariamo. Impariamo facendo lezioni e formazione, succede che impariamo vedendo le cose sul campo, succede che impariamo quello che ci servirà per essere dei volontari "funzionali" e non delle persone inutili che rischiano di dare solo impaccio a chi nell'emergenza è venuto per soccorrere.
Bene: cominciamo col mettere i puntini sulle "i". Nessuna associazione vuole degli eroi, ma soprattutto nessuna associazione e nessun volontario vuole vedere appese nella bacheca della sede delle medaglie, meno che mai "alla memoria". E questo non è un commento che viene in questi momenti, ma una regola: non siamo pagati per fare i volontari, pertanto nessuno di noi deve assolutamente rimetterci del suo lavoro o della sua vita. In nessun caso.
Ma non sempre è così: purtroppo ci sono i casi in cui tutti noi siamo costretti a calare la testa e vedere la bacheca che riceve una medaglia. Una bella medaglia, magari d'oro, alla memoria. E non perché qualcuno dei volontari ha dimostrato di avere una memoria di ferro o di essere un bravo mentalista, no: alla memoria perché di quella persona ci è rimasto, a noi tutti, solo il ricordo. Solo il ricordo, e nulla più. Non una medaglia che sostituisce un padre, un fratello, un figlio, un amico, un collega. No. Solo il ricordo.
E questo perché? Forse perché un volontario ha cercato di fare più di quanto fosse il suo compito? Forse.
Forse perché quel volontario ha pensato di mettere a repentaglio la sua stessa vita per portare aiuto a qualcuno? Come scrive il quirinale nelle motivazioni di alcune grandi onorificenze, come la medaglia d'oro al valor civile: "facendo olocausto della giovane vita". Per questo?
Forse, ma non sempre. Perché Sandro Usai è stato un collega, è stato probabilmente anche un eroe e se mai qualcuno volesse dedicargli una medaglia, andrà sempre il mio grande rispetto e la mia grande ammirazione per quel collega. Ma quel collega è morto, ha "immolato la propria vita" non già nello slancio di salvare delle vite, quanto in quello di aver fatto (scusatemi il francesismo) una cazzata colossale.
Perché Sandro non stava trascinando via delle persone bloccate dall'onda di piena, quando la stessa onda ha spazzato via lui. No. Sandro stava, come confermato da decine di testimoni, aprendo dei tombini fognari.
Ora. Quando ci sono delle alluvioni, si parla spesso del sistema fognario, e io di nuovo faccio una rapida digressione, prima di dire quello che è successo.
Punto primo: lo scopo di un sistema fognario è quello di trasportare i liquidi reflui (i liquami) dal luogo "di produzione" (le abitazioni) in direzione del sistema di smaltimento, recupero o ritrattamento (es. depuratore) e da quello, poi, per la reimmissione in natura (fiumi, mari, laghi etc).
Il sistema fognario nasce per gestire al 70%-80% i liquami di "produzione urbana" (scarichi domestici, principalmente) e per il restante 20%-30% le "acque meteoriche". La portata media di un collettore fognario è calcolata in base al presupposto carico medio plausibile: se ci sono tante o poche abitazioni, se ci sono strade eccetera. Prendiamo un collettore, e consideriamo quanto liquame può attraversarlo in un secondo. Approssimativamente ci attestiamo sul centinaio di litri al secondo. Un collettore unisce diverse linee, e tanti collettori arrivano del depuratore, a raggruppamenti successivi ad albero. In una grande città un collettore fognario può trasportare anche duemila, forse tremila litri di liquame ogni secondo. Se c'è un carico di acque meteoriche e la fognatura arriva quasi a "intasarsi" diciamo pure che raddoppiamo la portata. Arriviamo a seimila litri d'acqua che passano ogni secondo.
Bene. Se un fiume ha un'onda di piena, o rompe i margini, la quota d'acqua che si muovimenta ogni secondo è molta di più. Molta. Per valori inconcepibli di "molta" rispetto alla portata della fognatura: immaginiamo un torrente robusto come il Bisagno: se rompe gli argini vuol dire che passa un mostro largo un decina di metri e alto più di due. A una velocità media di 50-60km/h significa che in un secondo si muove un blocco di quasi 120 metri cubi d'acqua ogni secondo. Un metro cubo sono mille litri d'acqua, e centoventi metri cubi fanno 120mila litri. Centoventimila litri d'acqua che si muovono ogni secondo. Facciamo che un seimila-settemila se ne vanno giù nelle fogne, i restanti centododicimila e rotti ogni secondo percorrono quello che c'è sopra le fognature, spazzando, danneggiando, distruggendo.
Ma c'è sempre chi, quando viene giù una quantità abnorme di pioggia, è pronto a dire che le fognature erano intasate (a dirlo anche se fossero state linde e pinte. Non metto in dubbio che ci siano state anche delle fognature poco manutenzionate, ma non credo affatto che tutte le volte che c'è un'alluvione, sotto di essa ci sono fognature mai manutenzionate SEMPRE E DOVUNQUE). Così come ci sono quelli che hanno sempre da sbraitare che non li ha aiutati nessuno. E una volta ho visto delle persone piangere in televisione perché "Siamo stati abbandonati da tutti. Non è venuto nessuno, se non era per la protezione civile non saremmo qui". Non è venuto "nessuno"? E la protezione civile chi ve l'ha mandata? Si è materializzata lì da sola? O volevate che venisse il sindaco a spalare il fango e tirarvi fuori uno per uno?
E secondo punto, che spesso viene dimenticato: Madre Natura batte l'uomo dieci a uno. Sempre, dovunque e comunque. Non dieci a zero, perché ogni tanto qualche peletto all'uomo riesce, ma notoriamente noi siamo inermi di fronte alle forze naturali: non si può evitare un terremoto, un'alluvione, un incendio... è importante fare "prevenzione", ossia lavorare affinché questi grandi eventi catastrofici creino il minor danno possibile. Anche se domani avessimo un modo per prevedere un terremoto, questo comunque non ci darebbe alcuno strumento per far sì che la scossa non avvenga. Quello che possiamo fare è costruire edifici che non crollino in caso di scossa. Sull'argomento alluvioni ci sono tante cose che si sono dette, e tante che si possono e si potrebbero fare, a cominciare dall'evitare il più possibile di disboscare, perché si tolgono le radici, che tengono fisicamente il terreno, aprendo la strada a frane e smottamenti più o meno disastrosi. Si può evitare di costruire sui greti di fiumi e torrenti, o peggio ancora sui letti degli stessi, come avviene in alcune città in cui i fiumi vengono costretti in canali sotterranei. E tante altre cose del genere, ma soprattutto si può determinare che quando c'è un pericolo, reale o presunto, di frana, di alluvione, si può evacuare una città e mettersi in posizioni di sicurezza.
Una regola e mi allaccio all'errore di Sandro Usai, che si impara è dettata dalla logica. Abbiamo visto che una fognatura difficilmente è in grado di assorbire l'intera onda d'urto di una piena improvvisa. Ma ad ogni modo se la piena non è molto robusta e consistente, può aiutare. Ma qui si pone un problema: una fognatura durante un'alluvione può funzionare oppure no (non ci sono altri meccanismi: o la fogna va, o la fogna è intasata, non è un apparecchio elettrico che si accende e spegne come capita).
Se la fognatura funziona, allora funzionerà indipendentemente da quello che può fare ognuno di noi per aiutarla od ostacolarla, perché da soli non possiamo pretendere di incanalare un fiume in piena che ha rotto un argine, e aprire o chiudere dei tombini non cambierà la situazione: se la fognatura funziona, fa incanalare l'acqua e la porta verso il depuratore e gli scarichi. In questo caso nessuno di noi deve intervenire aprendo o chiudendo i tombini: pensa a tutto il sistema fognario da solo.
Se la fognatura non funziona, come dicevo, vuol dire che è tappata, piena di fango, bloccata, che non si muove nulla, e che quindi non scarica né assorbe le acque meteoriche. Se l'intero sistema fognario è bloccato, ugualmente nessuno di noi può intervenire aprendo i tombini e cercando di fare qualcosa: che cosa può fare un uomo solo contro chilometri e chilometri di cunicoli pieni di fango?
Ma può succedere un caso particolare. La fognatura funziona, ma quel tombino lì [che sto indicando col dito (-: ] è tappato. Bene. C'è un'onda di piena, lunga chilometri e chilometri, larga centinaia di metri. Se quel tombino non funziona, ce ne sono almeno mille prima di questo, e altri mille, dopo, che funzionano. Pertanto ugualmente non c'è bisogno di andare lì ed aprirlo per cercare di liberarlo.
Ma Sandro, invece, spinto dal bisogno di rendersi utile in qualche modo ha, come ho detto prima, pensato alla "cazzata": aprire i tombini in mezzo alla strada. Mentre scende l'onda di piena. Se non avesse fatto quest'azione, questo ragazzo molto probabilmente sarebbe ancora con noi. Ritengo importante dire questo, affinché la sua morte non sia stata vana, affinché non si venga a dire "è morto facendo il suo dovere", e affinché nessun altro abbia a tentare di imitarlo. Come lo ripeto: siamo volontari, vogliamo essere utili agli altri, ma non vogliamo le medaglie, e non ci interessa essere chiamati "eroi", soprattutto non ci interessa di sapere che la nostra memoria rimarrà a lungo sulla bacheca di un'associazione. Per questo io sono triste per questa perdita, ma anche arriabbiato, perché questa perdita era abbondantemente evitabile. Perché Sandro, e con lui moltissimi altri colleghi, hanno commesso un errore di valutazione, e questo errore è costato una vita umana. Un costo altissimo, un costo che nessuno avrebbe dovuto minimamente mettere in conto. Addio Sandro, mi dispiace che sia andata a finire così, ma almeno mi auguro questo tragico evento possa aiutare gli altri a imparare anche da questi fatali errori, per evitare che questi incidenti possano ripetersi in futuro.