giovedì 7 giugno 2012

L'onore della patria, o l'odore del lercio circostante

Ripensando a qualche vecchia puntata di "Extreme Makeover Home Edition", mi viene in mente quella lunga serie di famigliole americane che hanno la fissazione della grigliata estiva, della parata del quattro luglio e, soprattutto, l'asta con la bandiera a stelle e strisce che sventola sul patio davanti casa.
E mentre ci penso, che in fondo è la classica casa americana quella con la bandiera che sventola all'ingresso, un po' sorrido pensando all'attaccamento alla patria degli americani, a quello che un po' forse noi europei prendiamo in giro come un americanismo di bassa lega portato all'eccesso. E magari è anche così: magari quegli americani con la bandiera davanti alla porta di casa sono tronfi di se stessi e della loro patria e un po' troppo orgogliosi delle loro origini. Forse, perché dall'altra parte osservo come al contrario in Italia noi abbiamo le bandiere fuori dai luoghi pubblici perché ce lo dice una legge, ma soprattutto fuori dai nostri balconi solo in occasioni particolari. Diciamocelo chiaramente, se uno vede una casa con la bandiera italiana che sventola nel patio, la prima cosa che gli viene in mente è "ah, giusto, stanno cominciando i campionati di calcio".
E infatti pure l'inno nazionale più noto è quello da "campo di calcio", quello che tralascia di ricordare che "i bimbi d'Italia/si chiaman Balilla" o quella truculenta "Già l'Aquila d'Austria/le penne ha perdute./Il sangue d'Italia,/il sangue Polacco,/bevé, col cosacco"...
Eppure c'è da tenerci all'inno nazionale. C'è da tenerci alla bandiera. Chi ha fatto il militare (io no: ho fatto il servizio civile) sa che ogni mattina c'è l'alzabandiera e ogni sera l'ammainabandiera. E la bandiera, il tricolore italiano, è il simbolo della nostra patria, della nostra terra, ciò di cui tutti noi dovremmo essere orgogliosi... L'onore di essere italiano!

Ma io no, sapete?
Dico sul serio. Io non sono orgoglioso, affatto. Al contrario: io mi vergogno.
Sì.
Lo sottolineo anche.
Io mi vergogno di essere italiano.
Mi vergogno di vivere in uno stato che spreca denaro pubblico come fossero noccioline, in uno stato che ha una lunga catena di caste al potere, a cominciare dagli edifici e strumenti del potere che si chiamano parlamento e senato, che hanno perso la loro funzione democratica non già con la salita di questo governo tecnico, ma molti anni prima: quando deputati e senatori hanno dimenticato che il loro compito è quello di rappresentare il popolo italiano e di agire sempre e solo nel nostro pieno e completo interesse.
Mi vergogno di come sono state gestite le grandi emergenze che ci hanno colpito, soprattutto guardando come sono state gestite tali grandi emergenze nel resto del mondo. E non voglio commentare l'autostrada giapponese ricostruita dopo una settimana dal devastante terremoto di Sendai mentre qui a distanza di tre anni a L'Aquila c'è ancora tanto che deve essere fatto, e intanto si accumulano le emergenze con le alluvioni al sud e al nord della nostra patria, e con i terremoti che hanno ricominciato a scuotere il nord Italia per far scoprire come la nostra patria, di cui si dovrebbe essere tutti orgogliosi, è anche un centro attraversato da faglie e spaccature su ogni lato, e in cui l'attività tellurica costante non è dissimile da quella che scuote per esempio il Giappone, con la seria ed importante differenza che in Giappone, come in tutti i paesi civili, almeno sul lato della prevenzione si fa tanto, proprio perché non si può lavorare facilmente sul lato della previsione, mentre qui sappiamo solo sederci sugli allori e aspettare che siano sempre gli altri a occuparsi di tutto, non si sa bene chi siano questi altri, né se un giorno quegli altri comprenderanno, magari, anche noi stessi.
Mi vergogno di essere italiano per come abbiamo trattato e trattiamo il polo di ricerca, per come trattiamo i nostri giovani che dopo un pesante percorso di studi (una volta l'università italiana era il fiore all'occhiello degli atenei di tutta Europa) si ritrovano a fare il telemarketing con contratti di lavoro che non c'erano neppure all'epoca dello schiavismo coloniale, e corriamo appresso alle grandi lobby come le banche o le case farmaceutiche (ma non solo loro: ci sono anche gli avvocati, i notai e avanti di questo passo) che nella nostra patria hanno acquisito un potere senza pari, al punto da aver perso di vista anche la base della vita umana.
Mi vergogno di vivere in uno stato che si chiama civile e poi sforna leggi liberticide e tiene ai reati d'opinione, cambia leggi esistenti sull'onda del bisogno di fare pura demagogia e non riesce ad applicare neppure le migliaia di leggi inutili che abbiamo, leggi che peraltro ci impongono tutto, il contrario di tutto e il contrario delle due precedenti. Mi vergogno di essere cittadino di uno stato capace di mandare in carcere un innocente per mesi rifiutando categoricamente di fare delle verifiche che lo scagionerebbero del tutto, e preferisce far decorrere i termini della carcerazione preventiva di mafiosi condannati in via definitiva perché qualche magistrato è troppo impegnato a guardare i propri avanzamenti di carriera per occuparsi di pubblicare le motivazioni di una sentenza di condanna.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato che ha reso la solidarietà nell'emergenza un business.
Mi vergogno di essere un italiano dopo che quest'anno l'Italia non ha rinviato i festeggiamenti del due giugno, di essere cittadino di uno stato che ci ha sempre parlato della sovranità degli altri stati amici, ma che non ha mai mostrato le palle e sottolineato la PROPRIA sovranità nello scacchiere internazionale.
Mi vergogno di aver avuto un presidente del consiglio dei ministri che ha baciato la mano di un dittatore ed assassino, e mi vergogno di essere cittadino di uno stato che si dichiara laico ma pone la coscienza religiosa al primo posto nello sviluppo delle leggi, facendo cose schifosamente liberticide e sconvolgenti nei confronti delle coppie di fatto, degli omosessuali e della famiglia.
Mi vergogno essere cittadino di uno stato in cui i media nazionali riducono al minimo lo spazio per la cronaca internazionale, per lasciare spazio al clero e allo sport.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato che ha cancellato l'imposizione della sputacchiera nei luoghi d'interesse pubblico, ma continua a pretendere l'esposizione di simboli religiosi come forzata, anziché lasciata alla libertà di chi si trova lì dentro.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato in cui si professa la libertà di pensiero e di parola, ma in cui ben pochi fanno qualcosa per cancellare ridicoli reati d'opinione, che anzi vengono invece utilizzati quando fa comodo contro il critico di turno, e mi riferisco per esempio anche alla querela contro Beppe Grillo per vilipendio al capo dello stato. E se invece provassi a querelare il Presidente della Repubblica considerando la festa del due giugno un vilipendio alle vittime, ai feriti e agli sfollati del terremoto in Emilia?
Mi vergogno di vivere in uno stato in cui i poliziotti devono quasi tirare fuori i soldi dai loro portafogli per fare benzina alle auto di servizio, di vivere in uno stato in cui la tv pubblica chiude i programmi culturali per foraggiare reality e acquistare format televisivi da aziende che appartengono alla concorrenza privata. Mi vergogno di vivere in uno stato in cui la gestione delle grandi emergenze funziona grazie ai tantissimi volontari che, come me, sempre più spesso sono costretti a turarsi il naso e andare a infilare le braccia in mezzo al sangue e alle macerie, mentre qualche funzionario o, come li chiama l'amico e collega Turi, qualche finzionario pensa bene di intascarsi un po' di tangenti guadagnando sulle spalle e sul sangue altrui, certo che se mai venisse scoperto non ci sarà mai una condanna perché il processo cadrà in prescrizione prima.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato in cui quando un servizio pubblico non funziona, anziché dare strumenti efficaci ed implacabili alle autorità di controllo, si preferisce privatizzare ed esternalizzare tale servizio facendolo andare sempre peggio. Mi vergogno d'essere cittadino di uno stato in cui noi cittadini per far sentire la nostra voce dobbiamo andare da "Le Iene", da "Striscia la Notizia" o da "Report", sempre che una lobby non provveda a censurare anche quell'intervento.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato in cui lavorerò fino a non so quanti anni d'età, per poi prendere una pensione da fame, perché con le mie tasse devo pagare a qualche fortunato della cricca una pensione che mensilmente vale quanto varranno tre-quattro anni della mia, perché costui ha fatto un po' il parlamentare o chissà cos'altro, scaldando se possibile la sedia per tre o quattro anni.
Mi vergogno di essere cittadino di uno stato che parla di grande evasione fiscale ma continua a tartassare di balzelli i propri cittadini e le piccole imprese, lasciandosi tenere per il collo da grandi investitori truffaldini che sanno solo far allentare i cordoni della borsa per farsi gli affari propri.

Io mi vergogno. E mi vergogno così tanto che comincio a sentire la voglia e il bisogno di emigrare, di andarmene da un posto che non cambia registro e va sempre peggio. E faccio una considerazione amara: mi vergogno così tanto, che se mai un giorno dovessi trasferirmi negli Stati Uniti, e dovessi avere una di quelle belle casette di campagna (di legno, mattoni e cartongesso, magari tirate su in una settimana come facevano quelli della trasmissione), sull'asta fuori sul patio non metterei mai una bandiera italiana a sventolare.
Perché non riesco a sentire l'importanza, l'orgoglio, l'onore della patria natia.
Non ci riesco, perché i miei sensi sono obnubilati da tutto il marcio che sta ammorbando la nostra patria, dai vermi e dagli insetti che rappresentano la massima espressione della putrescenza che attanaglia quello che dovrebbe essere l'onore di essere italiano. Mi vergogno, perché non c'è più onore, e so che non sono il solo. Ma so anche che c'è qualcuno che, invece, ancora un po' di onore se lo sente per questa Italia, e cominciano a girargli come a me, come a tutti. E prima o poi qualcosa prenderà il sopravvento: potrebbe essere la vergogna, e la fine di una nazione, ma potrebbe anche essere la rabbia, e anche in quel caso sarà la fine, ma di qualcos'altro...

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