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giovedì 24 dicembre 2015

Il mio Canto di Natale



[Il mio Canto di Natale è tratto da «My Christmas Carol» pubblicato sulle Pagine Oscure a dicembre 2010]

Dicembre, Londra.
Vigilia di Natale. Mattina.
E.S., il presidente di una grossa corporazione che gestiva centri commerciali praticamente in metà Europa era nel suo ufficio.
Erano le nove di mattina. Improvvisamente bussarono alla porta: una persona trafelata si fiondò quindi dentro l’ufficio con una serie di cartellette e incartamenti in mano: «Mi scusi, signore: c’è un traffico tremendo per via della vigilia, ed ho trovato persino la neve per strada.»
E.S. alzò lo sguardo dallo schermo del portatile sulla scrivania, e tirò un’occhiataccia al suo segretario, poi ritornò con lo sguardo e la concentrazione alle immagini del computer.
Mentre l’uomo appena arrivato depositava tutte le cartellette sulla scrivania accanto a quella presidenziale, e si avvicinava alla parete per appendere il cappottone imbiancato dalla neve che cercava di togliersi velocemente, tuttavia, E.S. riprese la parola senza distogliere lo sguardo: «Lo so che c’è confusione, Mike. Ma lo sapevi anche tu che oggi sarebbe stato così. Potevi organizzarti meglio e partire un po’ prima, o forse vorresti dirmi che dovevi accompagnare i tuoi figli a scuola?»
Mike si fermò vicino alla parete, con la giacca in mano: «Ha ragione, signore. Mi scusi, non si ripeterà più.»
«È già tutto pronto? Lo sai che domani non possiamo sbagliare. Ci sarà un sacco da lavorare, però.»
Il repentino cambio di argomento da parte di E.S. lasciò per un istante il giovane segretario con le sopracciglia alzate, ma poi tornò l’abitudine al lavoro e subito rispose: «Naturalmente. Tutto preparato sin nei minimi dettagli: domani mattina alle otto in punto saremo tutti qui; non un solo dipendente si è azzardato a prendere permessi o giorni di malattia. Sappiamo che ci sarà del lavoro duro da fare, ma siamo tutti pronti, signore.»
Il presidente accennò una specie di abbozzo di sorriso, poi i due cominciarono la giornata analizzando conti e studiando strategie commerciali da applicarsi con l’anno nuovo.
Giuse finalmente la sera, e alle 19 il grande edificio pieno di uffici chiuse. Mike assieme al presidente uscirono infine dallo stabile deserto.
«Uff: si è fatto tardi, ma è la sera della Vigilia. È sicuro di non voler venire da noi per questa cena di Natale, signore?» Mike si era rivolto con un sorriso amichevole al suo superiore, nonostante l’espressione stanca di entrambi, ma quest’ultimo lo guardò di sottecchi con un’espressione vagamente scura: «Uhm! Sai bene che cosa ne penso di Natale, per cui lasciami perdere. A domani!»
E.S. arrivò davanti alla sua casa, un po’ defilata dal centro città, che appariva grande, austera e vuota. Si avvicinò alla porta guardando il battacchio di ottone in stile antico. Il solito leone che teneva l’anello gli fece l’occhiolino, e l’uomo rimase letteralmente surgelato osservando meglio il fregio, che adesso appariva statico e freddo come al solito.
Fece spallucce e varcò la porta d’ingresso, chiudendosela alle spalle con un colpo secco.
Serata: E.S. da solo, in casa, in vestaglia e davanti al caminetto acceso in un salone molto grande.
Si sedette in poltrona con un bicchiere di brandy in mano, quando all’improvviso un rumore secco risuonò dalla stanza adiacente: «Ma che…?»
La porta si spalancò con un colpo secco e una figura evanescente si fiondò dentro la stanza, trascinandosi appresso delle catene attaccate a dei grossi macigni.
E.S. era letteralmente paralizzato da questa visione: la figura senza battere ciglio si avvicinò al piano-bar, si versò una copiosa dose di scotch e infine si posizionò malamente sulla poltrona, da cui E.S. schizzò via immediatamente.
Dopo una veloce sgargarozzata di pressoché l’intero scotch, e un commentaccio a proposito del bicchiere che il fantasma continuava a tenere con la mano sinistra, stese quel braccio puntandolo verso l’uomo, il quale accantonava il terrore per cercare di capire chi fosse quell’entità.
Il fantasma cominciò a parlare, avvolgendo l’uomo di parole come un fiume in piena: «Ebenizer Scrooge: sono Jacob, il tuo vecchio socio; forse ti stai ricordando. Sono qui per lanciarti un messaggio: non fare il mio stesso errore, non isolarti e non morire da solo. I tuoi soldi non ti seguiranno nella tomba. Questa notte tu riceverai la visita di tre spiriti, che ti spiegheranno come cambiare: dai loro ascolto, perché è molto importante. E ricordati, di nuovo: i tuoi soldi non ti seguiranno nella tomba. Ora devo andare, vecchio bastardo. Stai attento.»
La figura evanescente scomparve in una silenziosa dissolvenza. Il bicchiere che stringeva in mano con un residuo di scotch cadde sulla moquette con un tonfo sordo, macchiando in terra. Passarono diversi minuti prima che E.S., sconvolto, si riscosse dalla sua catatonia: «Il mio ex socio… Jacob?»
Un paio d’ore dopo, preoccupato da questa strana storia, era ormai in camera da letto e in procinto d’infilarsi sotto il piumone, quando un sinistro scricchiolio scosse il corridoio fuori dalla camera.
La porta della camera da letto (chiusa a chiave, nonostante l’uomo fosse da solo) si spalancò di schianto con un rumore violentissimo.
Ne entrò una figura simile a una bambina di neanche dodici anni, decisamente meno incorporea del fantasma che aveva già visitato l’uomo; si avvicinò, gli acchiappò una mano e cominciò: «Buona sera, Ebenizer. Io sono lo Spirito dei Natali Passati e sono qui per farti vedere come hai vissuto questo periodo dell’anno nel passato.»
«Ma, ma io…»
«Oh, taci: abbiamo fretta.»
La ragazzina diede uno strattone al braccio di E.S., la stanza cadde nell’oscurità e improvvisamente i due si trovarono sul balcone di un grosso condominio. Quella continuò: «Non possono vederci, né toccarci, ma noi potremo vivere questa storia in tempo reale, come un film. Vieni, Ebenizer: entriamo.»
«Ma io…»
«Non discutere, brutto avaraccio: vieni a vedere che cosa succedeva a Natale quando eri piccolo. Vedrai se non ti commuoverai quando rivedrai i tuoi genitori!»
La scena che si vedeva dalla finestra era molto semplice: i due genitori e il ragazzino (dai lineamenti molto simili a quelli di E.S.) erano seduti intorno a una tavola. Su un mobile alla parete un televisore a colori da 28" mandava in onda il telegiornale della sera.
Uno sparuto albero di natale con quattro palline e quattro luci era nell’angolo opposto della cucina.
Padre e figlio stavano discutendo piacevolmente: «Papà… io gliel’ho spiegato che essere buoni una volta l’anno, e dimenticarsi gli affetti il resto dell’anno è una cosa molto ipocrita, ma non c’è verso di farglielo capire a quella testaccia dura.»
«Sai bene che gli atei – come noi – sono sempre visti di cattivo occhio da chi non riesce a guardare oltre il lume del proprio naso, ma che cosa ci vuoi fare?»
«Niente: l’importante è andare avanti per la propria strada tenendo il massimo rispetto per coloro i quali hanno deciso di seguire altre strade. Finché c’è il rispetto, c’è tutto.»
«Bravo, belle parole. E in fondo nell'ultimo periodo il valore spirituale di questa festa è andato lentamente scemando, per spingere di più su quello commerciale. Anzi: non sarebbe proprio da sottovalutare l'ipotesi nell'eventualità di un futuro nell'ambito della grande distribuzione.»
«Ma certo: un’occasione del genere non ho nessuna intenzione di farmela sfuggire! Vaben, io sono stanco: finiamo di mangiare, così vado a dormire.»
La scena si oscurò, e la bambina si girò a guardare E.S. sconvolta: «Ma… ma.… che razza di cena della Vigilia è questa?»
«Ma noi da sempre siamo a…» E.S. si interruppe, mentre la piccola passava dai singhiozzi a un pianto disperato e si avvicinava lentamente; la luce ritornò e li vide nuovamente nella camera da letto da dov’erano partiti.
E.S. si avvicinò alla piccola e cercò di abbracciarla per rincuorarla un po’, ma scoprì che non poteva toccarla: era evanescente, esattamente come un fantasma.
Passarono pochissimi istanti e una seconda figura superò la porta spalancata della camera da letto: un uomo altissimo (quasi un gigante: sarà alto almeno due metri e trenta), che aveva dovuto inchinarsi per passare dall’uscio e ora rischiava di dare una sonora capocciata al lampadario in vetro di Murano della camera. Non era solo altissimo, ma anche letteralmente enorme: mostrava una rotondità non indifferente, ma con il fisico di un camionista norvegese in piena attività.
Non appena entrato, assistendo a quella scena grottesca, commentò furioso: «Ma che sta succedendo? È la prima volta che… Ebenizer, ma cosa hai combinato…?»
«Ma io non…»
Il gigante afferrò quello che in confronto era l’esile E.S. per il braccio sinistro, scuotendolo violentemente: «Uhm: a quanto pare con te sarà più difficile del previsto, eh? Non c'è problema: io sono lo Spirito del Natale Presente e ti farò vedere che cosa pensano di te i tuoi collaboratori e soprattutto… vieni, andiamo!»
Un altro strattone, di nuovo buio, di nuovo luce: adesso erano in mezzo alla strada, nel quartiere dove abitava Mike.
Lo Spirito del Natale Presente prese E.S. di peso e lo spinse violentemente contro la porta di casa: E.S., terrorizzato, alzò le braccia, ma attraversò la porta come se fosse un fantasma anche lui; tuttavia si spalmò contro la parete opposta, a circa un metro di distanza, con un tonfo secco.
Mentre il povero E.S. si allontanava dalla parete tastandosi il naso per capire se fosse tutto intero (e notava che la sua immagine non si rifletteva nello specchio accanto alla porta) il fantasma lo prese rudemente per l’avambraccio destro, tirandoselo appresso sino a raggiungere il salotto della casa di Mike.
Era una scenetta piacevole: la tavola apparecchiata con un bel tacchino ripieno al centro, i familiari tutti intorno con delle corone di carta colorata in testa. Lungo le pareti del salotto c’erano varie decorazioni natalizie, compreso un albero di natale piacevolmente addobbato, delle calze rosse attaccate a una mensola sulla parete e persino due palline rosse erano attaccate alla carrozzina parcheggiata a capotavola.
Mike e la moglie erano in piedi, ai lati della carrozzina su cui era seduto un bambino dell’apparente età di otto anni, senza capelli né sopraciglia, con degli occhi di un blu così profondo che avresti potuto annegare nel suo sguardo.
La sua espressione era serafica e, mentre gli altri stanno parlando proprio del posto di lavoro di Mike, il piccolo prese la parola, con qualche difficoltà ma con un tono risoluto e autoritario: «Smettetela. D’accordo: non è venuto, ma si è comunque meritato il rispetto di tutti noi, e siamo noi a dover rispettare le sue scelte spirituali. In fondo chi siamo noi per giudicare un uomo perché non festeggia il Santo Natale? Giudicare è un compito di Dio. Inoltre è Natale: dobbiamo essere più buoni con gli altri, soprattutto con lui, che ha fatto così tanto, e continua a fare così tanto per la nostra famiglia.»
Un mormorio di approvazione girò fra i commensali, sopra tutti quanti spiccò la voce della madre: «Bravo Timmy. Belle parole, le tue. E in fondo, anche se domani mattina tuo padre sarà al lavoro già di mattina presto, sarà comunque un Natale splendido.»
Lo Spirito del Natale Presente strabuzzò gli occhi, girandosi di scatto verso E.S.: «Ebenizer! Mi vuoi spiegare che significa…?»
Gli diede uno spintone, ma più delicato del previsto, e dopo un breve istante di oscurità erano ritornati in camera da letto, dove la bambina era ancora lì in lacrime.
Una terza figura, incappucciata e con un saio nero, entrò nella stanza mentre E.S. prendeva la parola: «È quello che sto cercando di dire da un pezzo. Prima di tutto io…» ma si fermò, osservando con interesse l’essere incappucciato che gli puntava addosso una mano ossuta, che faceva capolino da una manica troppo larga. «Spirito del Natale Futuro, eh? Scommetto che vuoi portare Ebenizer Scrooge a vedere che cosa lo aspetta nel natale del futuro, giusto? Bene! Aspetta uno stramaledetto istante, adesso.»
Nella stanza risuonò un ruggito cupo, ma immediatamente lo Spirito del Natale Presente, indicandogli la bambina in lacrime, fece: «Un minuto, Bruce. C’è qualcosa che non va, e vogliamo capire cosa…»
«Ecco, appunto. Per cominciare: io non so chi diavolo sia questo Ebenizer Scrooge che state continuando a cercare, anche perché io mi chiamo Erbert Soorce! E ho cercato anche di spiegarlo a… a quell’altro squinternato di… come si chiama, Jack?»
«Jacob» lo corresse lo Spirito del Natale Futuro con voce cavernosa.
«Sì ecco: Jacob. Ma… Ma quale socio? Vinsi alla lotteria dieci anni fa e ho aperto i Grandi Magazzini Soorce da solo! Ma quale cavolo di socio?» si girò, puntando un dito verso il terzo spirito: «E ora? Vuoi farmi vedere cosa mi aspetta nel natale futuro? Eh? Vuoi farmi vedere Mike e la moglie che piangono sulla tomba del piccolo Timmy? Lo so già, lo sappiamo già tutti quanti: Timmy è terminale. Gli hanno amputato le gambe, e ogni due settimane si sottopone a massacranti cicli di chemioterapia e radioterapia, che lo lasciano debilitato anche per due giorni interi. Eppure affronta tutto questo con una grandissima energia. È un bambino molto forte, e mi ha insegnato di più il suo semplice sorriso che quello che avete cercato di fare voi tre, anzi quattro squinternati in un’intera serata. Altrimenti perché che cosa pensate che sarei io a continuare a pagare le spese mediche, i supporti specialistici, persino quella carrozzina di ultima generazione?»
La bambina smise di singhiozzare, alzò la faccia rigata di lacrime e chiese, incredula: «Paghi tu le loro spese?»
«Andiamo: Mike con il solo stipendio di segretario non riuscirebbe a donare alla sua famiglia tutta la dignità che lo aiuta ad andare avanti ogni giorno! Lo considero un brav’uomo, e non si merita tutto il dolore che sta passando…»
Dalla porta spuntò di nuovo Jacob, puntandogli baldanzoso il dito contro: «Ma Mike domani sarà al lavoro! Anzi: ci sarete tutti quanti. L’hai detto anche tu che ci sarà tanto da lavorare. Mike sarà lontano dalla famiglia.»
«Per forza! Le decorazioni natalizie mica si possono mettere da sole, e ci sarà bisogno di cucinare per tutti quanti; passeremo una giornata tutti assieme, magari in nome del natale, o magari più semplicemente in nome del rapporto di reciproco rispetto e di amicizia che ci lega tutti quanti. Mike mi ha promesso che con i dipendenti arriverà la mattina presto, e poi tutti gli altri familiari ci raggiungeranno all'ora di pranzo.»
«Cosa?» risposero tutti in coro.
«Domani avremo il pranzo aziendale di natale, nonché la festa per tutti i figli dei dipendenti. E, come ho fatto negli ultimi tre anni, mi vestirò da Babbo Natale e distribuirò regali a tutti i bambini presenti.» Erbert si fermò, fece un sospiro e i suoi occhi divennero lucidi. «Me lo chiese Timmy quando era più piccolo, e io non ho avuto bisogno di pensarci un solo istante. Subito gli promisi che avrei organizzato la festa di natale ogni anno. Visto? Non c’è bisogno di spiritualità per poter fare delle buone azioni.»
I quattro fantasmi uscirono dalla stanza, visibilmente commossi, tenendosi spalla su spalla. Aver sbagliato il proprio lavoro è seccante, ma aver cercato di lanciare un messaggio a una persona come Erbert Soorce era stato l’errore più stupido che mai si potesse fare.
L’ultima frase che echeggiò nella stanza, prima che la porta si richiudesse, fu quella di Erbert, che concludeva: «Ad ogni modo, se voleste unirvi a noi domani, ne saremo lieti tutti quanti. Per me il natale non è altro che un giorno festivo sul calendario, in cui si chiude bottega. Ma ciò non toglie che possa essere passato con calma, spensieratezza, lontani dal tran-tran quotidiano e dallo stress del lavoro, e pensando semplicemente all’amicizia, o alla famiglia.»

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