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domenica 30 ottobre 2016

VLOG Speciale Halloween 2016: ADESSO



Piove.
Nella stanza c’è aria viziata, ma l’unica finestra è incastrata da almeno dieci anni.
È buio, il letto scomodo.
Cosa mi ricordo? Poco.
Presto mi verranno a prendere, o no? Mi hanno abbandonato? Quanto tempo è che non vedo nessuno? Giorni, forse. Il buio mi confonde le idee.
Adesso dovrebbe essere notte. Ho sonno, ma il rumore della pioggia mi tiene sveglio.
[tuono]
Un tuono smuove la camera. Stringo la coperta crespa fra le mani.
«Quante volte lo hai già fatto?» Francis mi guardò preoccupato, mentre salivo in macchina.
«Credo una decina, forse di più, devo dire che non le ho mai contate.»
Il rumore della pioggia in crescendo mi ricorda un vecchio disco di Oldfield, il buio è morbido, amaro ed impalpabile.
Il sapore dell’acetilsalicilico nella cola mi ha lasciato dei segni in bocca, Metaterm è già difficile da configurare da lucidi, figuriamoci in acido.
[tuono lontano]
«Naaa. In trip è più facile, di sicuro»; il rassicurante freddo buio intorno a me.
«Set terminal server as default access point, ma che cazzo è? Aspetta, fammi guardare l’help. No, forse me lo ricordo: dovrebbe essere “off”, perché voglio cambiare il mio sistema di accesso in base al network address di chiamata», lo schermo scuro davanti a me.
Scuro.
Perché nessuno voleva ascoltarmi? Lo avevo previsto, ma sono stato l’unico a non farsi fregare, il solo.
È diventato un affare per ricchi, e dire che una volta bastava un cesso per allacciarsi, ora col cesso ci guardi gli stronzi cagati dal riccone per te.
Odioso.
La coperta è vecchia, mi ricorda una specie di pezza di lana dei tempi del campeggio.
«Ok, adesso penso che ci voglia un buon caffè, magari sopra ci mettiamo anche una sigaretta, e intanto si comincia!»
La sensazione del caffè, nero, freddo e amaro mi riporta nella stanza.
Ho bisogno di una sigaretta. Nella tasca della camicia sento il tabacco; è difficile rollarsi una sigaretta al buio? In fondo non guardo mai la sigaretta mentre la rigiro.
La luce dell’accendino mi ferisce gli occhi, e proietta ombre tremolanti sulle pareti bianche dove si stagliano i pochi mobili.
Un po’ di luce filtra da quella maledetta finestra, ogni volta la devo chiudere per bene con una sbarra e poggiarci un libro, ma lo stesso filtra della luce, il risveglio mattutino così non è dei migliori.
Voglio il buio, il buio profondo: c’è chi ha paura del buio, io ho paura della luce…
Una volta tenevo sempre dei pacchetti di sigarette nascosti tutto intorno per non restare mai senza.
Mai più senza!
Brontolio di temporale sommesso.
[tuono molto forte]
Ricordo che una volta, disperso in piena notte sulla provinciale, avevo trovato un accesso (incredibile: siamo alle tecnologie più complesse, e poi in campagna c’è fibra ottica tirata coi paletti di legno, classe ‘960) e stavo cercando di interfacciarmi; la mia riuscita fu accompagnata (applaudita?) da un carosello di fuochi artificiali qualche km avanti a me: conclusione pagana di qualche antica tradizione religiosa dell’entroterra.
Ed avevo afferrato la ricchezza della rete, in una fresca sensazione di erba tagliata, disteso sul terreno e sotto le stelle.
Una volta la natura era bella.
Ora non c’è più la natura.
No. C’è. La pioggia.
[tuono]
Sento in lontananza un rumore. Stanno arrivando.
C’è tanta spazzatura, intorno a me. Butto la sigaretta davanti a me.
Una fugace toccata sotto al cuscino mi fa sentire la rigida struttura della card: nessuno sa che esiste, e per ora nessuno lo deve sapere.
La porta si apre, filtra la luce del giorno.
Un altro tuono. La pioggia impazza.
[Tuono lungo]
«Francis, te l’ho già detto: dopo non ci saranno altre possibilità. Siamo pronti?»
La sua risposta fulminea mi preoccupa: «Andiamo.»
Sono passati tre anni da quando lo ho scoperto. E fino ad ora ho conservato i due segreti. Uno, quello dell’accesso, lo ho svelato a qualcuno, anche se nessuno ha la mia abilità.
L’altro, la scheda, non lo sa nessuno.
Lo stanzino è vagamente illuminato da una vecchia lampadina. Giunge lo scroscio sordo del temporale.
«Quando piove è il momento migliore: bastano le puttanate dei tecnici che lasciano finestre aperte in centrale, o che si fumano una sigaretta prima di iniziare a considerare anche lontanamente come risolvere il guasto.»
Francis e io non ci parliamo mai, ormai da tempo. Siamo diventati meccanici: io gli do la rete, e lui mi da qualcosa per tirarmi su. Ma non siamo meccanici, no: lo ammetto. C’è ancora un sorriso d’intesa fra di noi.
Siamo nella casa di campagna in pochi minuti; Robert lancia un pacchetto di sigarette sul cruscotto dell’auto, lo guardo in silenzio, poi ne estraggo una Philip Morris pulita pulita (cazzo: quanto tempo che non vedo sigarette normali).
Mi ficco in gola parecchio fumo, il calore della sigaretta mi riscalda, in mezzo a tutto questo freddo… a tutta questa pioggia. Vivo solo nella pioggia. La sigaretta mi riscalda l’anima. Poi butto le mani sulla tastiera, giusto il tempo di sbatacchiare qualche tasto a caso.
Che polli: hanno chiuso tutte le vie di accesso normali, ma non hanno toccato neanche una delle decine di backdoor che mi sono lasciato.
Il loro sistema di sicurezza è più bucato di uno scolapasta, ma preferisco non parlare: niente commenti, niente sorrisi sbilenchi… il tempo è passato. Ed ora ti bustano come niente se non ti pari il culo per bene.
.LOGIN U#=1014 /SERVER /NET=ON /PVT
Ora avranno pane per i loro denti, e crederanno di aver trovato il covo degli hackers cattivi.
«Andiamo», credo che si siano impauriti: mi sono bloccato di botta solo per dire questo, con le mani sollevate dalla tastiera.
Ci dirigiamo in una dispersa località di campagna, svariati km più a nord della magione dimenticata.
Giunti presso una vecchia casa cantoniera, faccio parcheggiare Francis nel magazzino, pronti a scappare.
Ci inerpichiamo a piedi per un sentiero scosceso, in mezzo al vento forte che ha sostituito la pioggia.
È lì, in mezzo al campo coltivato; Francis la guarda per la prima volta: «Mio Dio, ma cosa cazzo è?»
«L’ultima frontiera, una stazione di rilevamento sismologico in disuso. L’ho scoperta quasi per caso, ma non me la lascio sfuggire.»
L’unica cosa che ci aveva accompagnati per oltre 20km era solo il cavo telefonico teso fra i pali, aereo (classe ‘960, tanto per cambiare). E lo stesso cavo si inerpicava su per il sentiero, e lo stesso cavo era quello che aveva attirato la mia attenzione, una notte, facendomi incuriosire fino a seguirlo da una punta all’altra, per molti km di dimenticata terra riarsa…
Francis, guardandomi con circospezione, mi fa incazzare: «Credi che non ci troveranno solo perché siamo in mezzo alla campagna? Tracceranno la chiamata…»
Io, spazientito: «E andranno laggiù», puntando in basso, «ad oltre 30km da qui. A metà strada c’era la morsettiera di derivazione: ho scelto l’azienda agricola più lontana, che per ora è in disuso, ci ho lasciato qualche bel fuoco di paglia con quella puttanata di terminale aperto e poi ho paro paro rigirato i loro due fili con quelli della stazione.»
Francis adesso sorrideva soddisfatto: se fossero venuti, li avremmo visti ed avremmo avuto tutto il tempo di scappare.
Era una cosa che avevo visto milioni di volte, quella di tracciare un telefono. Ma il massimo che era successo per non farsi beccare era di collegare fra di loro in parallelo alcune permute. Perché nessuno ha mai pensato a giuntarsi ad una linea telefonica a caso, o ad invertire due linee di due posti, proprio in modo che le “forze dell’ordine” puntassero nella casa sbagliata?
Tagliata la piccola rete di recinzione, entriamo; punto subito dietro l’ingresso del piccolo prefabbricato di metallo.
In un attimo, tronchesi in mano, spello il vecchio doppino da campo, e ficco i due morsetti, mentre Francis tira fuori da dietro il cavo elettrico.
Poggiamo il laptop sul coperchio della botola che conduce al sismografo. Sono pochi istanti, per raggiungere una via diversa.
Francis mi guarda stupefatto mentre estraggo dalla tasca la card. Una vecchia placchetta di plastica ingiallita; sopra ci sono scritti due innocui numeretti, uno accanto all’altro, laconicamente.
«Se non fosse stato per questo, non ci saremmo mai arrivati.»
Il cursore del terminale lampeggia, il mio comando arriva.
.LOGIN U#=00113870 /PUB /PASSWORD=60132
WELCOME TO MINECOM GRIDTERMINAL!
THE USAGE OF THIS SERVICE IS
ONLY FOR MINECOM SERVICE OPERATORS
ANY MISUSE WILL BE PERSECUTED BY LAW
ROUTER ZELDAWRTSYS VERSION 5
GRIDTERMINAL SERVER 3.14

DATA TERMINAL READY
*
«Eccolo!»
L’esclamazione di trionfo mi pervade mentre sul monitor, sotto le decine di frasi senza senso, appare solo un innocuo asterisco.
Il cuore inizia a battermi forte.
Lo digito molto lentamente, per non commettere errori:
[rumore di tasti digitati]
SERVICE /CMD=CLOSE /ACTION=PRITV /NORETURN
Premo con soddisfazione il tasto di invio, per trovarmi davanti solo il laconico messaggio:
THIS WILL CLOSE ALL SATELLITAR AND LAND COMMUNICATIONS
IF YOU ARE REALLY SURE, PLEASE ENTER DEFINITION CODE:
Il cursore lampeggia tranquillo, fermo immobile mentre digito quella maledetta password:
SYSTEM
Non so se questo sia il codice di default per i router del sistema multistandard di comunicazione, ma sta di fatto che questa scoperta per me è stata peggio di quando sul mainframe di Parigi si entrava dando “ADMIN” ad ogni domanda di identificativo, codice di accesso, nome della libreria e puttanate simili. E si entrava in admin, mica come guest! Abbiamo buttato giù Parigi tre volte, l’ultima sono addirittura rimasti isolati una settimana: il simbolo della loro vergogna, ma non se ne erano resi conto.
«Francis: ora tocca a noi»; ci scambiamo un’occhiata d’intesa. Prendo il suo indice con la mia mano, e li avviamo tutti e due a premere una sola volta, in un solo gesto, a due mani, il tasto di invio.
SELF-DESTRUCT IN PROGRESS... HANG UP
NO CARRIER
Sì.
Francis si lancia sul cavo della corrente e lo stacca, mentre io con calma sgancio i due coccodrilli e riavvolgo il cavetto.
Ci riavviamo, il fedele laptop sotto il mio braccio, Francis con i due mitici cavetti da campeggio.
In lontananza, sulla provinciale, si vedono le luci lampeggianti che corrono verso l’ignara azienda agricola.
Chissà se si renderanno mai conto di come ho fatto?
Specie adesso, che per parlare fra di loro devono affacciarsi a gridare dalla finestra.

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