mercoledì 31 ottobre 2018

VLOG speciale halloween: Il Saraceno



Immaginatevi una notte siciliana. È estate e la luce del tramonto ha perdurato a lungo, saldamente aggrappata ai bordi della notte come un bambino che non vuole lasciare la gonna della madre.
Il sole ha riarso la terra, il mare e le facciate delle case per tutto il giorno, ma anche ora che è buio il suo calore si percepisce: lo si sente uscire dalle pietre e dalle pareti come le quiete vampe di un falò.
La casa di via Mirabella è immersa nel silenzio, come tutte le sue sorelle di Ortigia: corridoi e stanze bui, attraversati da una lieve brezza che parla di mare. L’unico rumore proviene da una pendola che scandisce i secondi con un severo ticchettio, un suono quasi da marcia militare.
Nella stanza, il ragazzo dorme. Le sue membra asciutte e scurite dal sole della Sicilia risaltano contro il bianco del materasso e appaiono disposte in una sorta di triscele. L’afa notturna l’ha indotto a spostarsi varie volte, ammucchiando il lenzuolo leggero in fondo al letto, ma non l’ha svegliato.
Ha consumato l’intera giornata correndo e giocando con gli amici: è stremato. La spettrale luce della luna piena attraversa le sottili tende gonfiate dagli umidi refoli di vento tiepido, che proiettano sul corpo sudato del ragazzo un’ombra diafana. Quella stessa algida luce bagna il letto e una porzione della stanza, ma lascia in ombra la parete opposta, che per contrasto appare più oscura che mai, come se il buio – per sfuggire a quel pallido lucore – si fosse ritirato tutto laggiù.
È lì che la figura emerge. Alta ed esotica, definita ma al contempo traslucida, come una sagoma scolpita nel cristallo o nel fumo.
In qualche modo, seppur profondamente addormentato, il ragazzo deve aver captato quella presenza, poiché i suoi occhi, dapprima quieti, hanno preso a scattare e guizzare sotto le palpebre chiuse.
La figura resta immobile per una manciata di istanti, i suoi contorni che si fanno sempre più nitidi, poi inizia a muoversi verso i piedi del letto, in direzione del ragazzo che prosegue a dormire. Non sembra camminare: è più come se scivolasse attraverso l’aria. Non emette alcun suono, né di passi né di respiro.
Entra nell’alone perlaceo di luce lunare eppure nessuna ombra si proietta dal suo corpo alto e solido.
Sul materasso, il ragazzo bofonchia nel sonno: sul suo viso largo si contorce un’espressione di nervosismo, come se nella sua mente si agitassero le grottesche visioni di un incubo.
Intanto, la figura è arrivata ai piedi del suo letto. Si china in avanti, lenta, senza fretta, osservando il ragazzo che si gira da una parte all’altra, inquieto.
Due lunghe braccia si sollevano, terminando con mani enormi, le dita contratte simili agli artigli di un falcone; calano in basso, verso i piedi nudi del ragazzino. Le mani, con una mossa simultanea, si avvolgono attorno alle sue caviglie, bloccandole saldamente.
Sopra il materasso, l’adolescente si contorce, ostacolato dalla presa della figura. Si agita e bofonchia parole turgide di sonno, prima che qualcosa dal profondo della sua mente gli faccia notare che la pressione che avverte alle caviglie non è un sogno, bensì è decisamente reale.
Gli occhi del ragazzo si spalancano, incontrando quelli dell’uomo ai piedi del suo letto.
Per cinque, forse dieci secondi non accade nulla. Le tende leggere si tendono come vele nella brezza notturna, la luce della luna rende tutto incolore e onirico.
La cosa che il ragazzo osserva è troppo strana, troppo incoerente per essere vera: è un uomo gigantesco, con la pelle di un intenso color cannella, i muscoli forti e le cicatrici che solcano il suo corpo nudo fino alla cintola, coperta da una fascia alla quale è sistemata una specie di spada ricurva.
La pediera del letto impedisce al giovanotto di vedere oltre, ma il poco che indovina gli somministra una scarica di orrore che lo ridesta del tutto: i vaporosi calzoni bianchi dell’uomo sono vistosamente imbrattati di una sostanza che, anche sotto quella luce poco generosa, presenta un vivido color sangue.
Il volto dell’apparizione è affilato, inghirlandato di folta barba scura, ornato di un naso lungo e curvo come il becco di un’aquila; da sotto una kefiah che gli nasconde la testa e parte della fronte, ardono due occhi che sembrano contenere l’inferno: vi si contorcono liquide luminescenze rosse e brillanti fulmini arancioni.
Al ragazzo fanno riaffiorare il ricordo di un’eruzione notturna dell’Etna. Ancor più sconcertante e spaventoso è il rendersi conto che la figura, per quanto possente, e per quanto la presa che esercita sopra i suoi piedi sia fisica, appaia in qualche modo evanescente. Lo sguardo del ragazzino può indovinare attraverso di essa i contorni dell’armadio e della scrivania, visti come dietro un blocco di vetro scuro.
Il gigante spalanca la bocca incorniciata di barba ed emette un lamento sfiatato, un gemito mostruoso che si solleva, simile al vento di burrasca, gravido di odio, minaccia e rabbia; a questo punto, il terrore che fino a quel momento aveva trasformato in pietra le membra del giovane, si tramuta in un’abbagliante scarica elettrica che lo induce a schizzare fuori dal letto, strillando.
La paura gli scorre fino alle dita come aghi di ghiaccio nel sentire la callosa, energica stretta delle mani dell’intruso che – come ferro – gli intrappolano le caviglie, ma un attimo dopo la stretta svanisce e il ragazzo, mezzo correndo e mezzo ruzzolando, si getta fuori dalla sua camera, il luogo che fino a pochi istanti prima reputava più sicuro al mondo, e attraversa urlando il corridoio fino alla stanza dei suoi genitori, trovandoli già svegli e in allarme per il trambusto.
Il sonno è finito per tutti loro: madre, padre e figlio… non si può riprendere sonno dopo che il Saraceno è venuto a fare visita.
Le rassicurazioni della madre e del padre confortano appena il ragazzino ancora sconvolto dal più grande spavento della sua vita, ma i suoi genitori non sono spaventati, non più del necessario.
In cuor loro hanno sempre saputo che, presto o tardi, anche la loro dimora sarebbe stata teatro di quello che già a molti altri nel circondario era capitato: lo chiamano tutti il Saraceno, ma non c’è modo di sapere chi sia né da dove venga; i suoi indumenti e il suo aspetto lo identificano come un antico soldato arabo, magari facente parte delle incursioni musulmane del VII secolo.
I vecchi vociferano, sempre a voce molto bassa e se la notte era tarda, che il Saraceno infesta i dintorni della Graziella poiché il suo corpo, o quanto ne resta, giacerebbe sepolto senza riti funebri da qualche parte, nascosto e dimenticato in qualche oscuro luogo nell’ipogeo della città.
Al ragazzo tutto ciò è stato spiegato, quella notte. I genitori gli dicono che il Saraceno, per quanto potesse apparire spaventoso e feroce, non prova rabbia verso chi va a trovare, ma è furioso con il suo stesso destino, un fato che lo aveva strappato alla sua terra, portato a morire in un’isola lontana, dove per tutti era il nemico o dove nessuno aveva pregato o pianto per la sua morte, la quale, al pari del suo nome, era stata dimenticata.
L’unica prova che sia mai esistito sono le sue sporadiche apparizioni, la pallida manifestazione dell’ombra dell’uomo che era stato.

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