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mercoledì 12 maggio 2010

Sicurezza, professionalità, serietà, abusi

Il 29 maggio 1985, nello stadio "Re Baldovino" di Heysel, in Belgio, una ben più che approssimativa gestione dell'ordine pubblico intorno a una manifestazione sportiva provoca la ben nota strage, facendo cambiare alla Comunità Europea le idee su come vanno manutenzionate queste manifestazioni. In Italia verrà successivamente introdotto quello che - a mio parere - è uno dei migliori metodi di prevenzione: il D.A.SPO.
Ma andiamo avanti. Nel 1993 viene arrestato Totò Riina. Una geniale azione di risposta alla strategia delle bombe usata dalla mafia siciliana, ma con pagine oscure come la tardiva perquisizione della casa, costata il suo completo svuotamento (non mi ricordo la fonte, ma disse che quando finalmente si procedette alla perquisizione, l'ambiente era persino stato pulito con la candeggina).
E andiamo ancora avanti.
Febbraio 2007, Catania. Scontri fra tifoserie culminati in qualche arresto, ma soprattutto la morte dell'ispettore Raciti. E continuiamo ancora.
Parma. Un'operazione antidroga in borghese gestita dalla polizia locale [tra l'altro in palese violazione di una filata di normative che spaziano dal TULPS al codice penale (ma qualcuno ha pensato che se fosse passato, la butto lì, un carabiniere fuori servizio, a vedere dieci persone in borghese che trattengono due persone urlando e allontanando i presenti, si rischiava che quello gli ribaltasse addosso un paio di caricatori della pistola d'ordinanza?)] si conclude con un pestaggio e una serie di azioni, da parte del comune e del dipartimento di polizia municipale a dir poco discutibili.


E andiamo ancora avanti. Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Stefano Gugliotta.
E andiamo ancora avanti: i fatti di Genova, il caso della "Uno Bianca", Unabomber e il depistaggio del RIS di Parma.
E ora fermiamoci un attimo a riflettere.
Quando si parla di sicurezza di uno stato democratico, si discute di professionalità e serietà di coloro i quali sono impegnati a garantire tale sicurezza.
La sicurezza di uno stato democratico si suppone essere quell'insieme di gesti ed azioni tali che sia possibile girare per le strade della città senza venire aggrediti, rapinati, accoltellati o quelchelè. Un insieme di gesti ed azioni atte a contrastare ogni genere di comportamento che contrasti con le normative vigenti a tutela dello Stato, dei Cittadini, dell'amministrazione, del rispetto della vita umana.
Tale risultato (la sicurezza) lo si ottiene per mezzo di una corretta sinergia fra tutti i gradi di prevenzione, contrasto, giudizio e condanna.
Se io accoltello una persona e la uccido, io devo venire arrestato, essere processato e ricevere una condanna. Se io rapino, aggredisco, truffo o faccio comunque qualcosa che sia contrario alle normative vigenti, devo essere arrestato, sottoposto a un processo, condannato e devo scontare la mia pena.
La pena da un lato deve essere un deterrente tale che il rischio che si avveri su di me mi tenga ben lontano dal compiere quell'azione, e deve essere commisurata alla gravità dell'azione.
In Italia si parla tanto di certezza della pena. Il problema, soprattutto degli ultimi governi, è che quando scoppia un caso mediatico (ossia il caso di qualcosa che colpisce la coscienza di tutto e di tutti, grazie alla diffusione che viene data sulla stampa o sui media d'informazione in genere), spesso succede un errore: l'errore che il legislatore (ossia chi è al governo) si faccia travolgere dall'onda per ragionare con i paroloni che fanno audience sui media, ma perdendo di vista quello che invece gli si chiede in termini di sicurezza.
Sono otto anni che quando qualcosa passa sulla televisione, su internet, sulla radio o sui giornali, qualcosa che urta le coscienze degli italiani, c'è sempre qualche parlamentare che si alza a risolutore definitivo, dando aria alle corde vocali per invocare "pene più severe".
Le leggi ci sono (non mi stancherò più di dirlo: ci sono leggi che dicono tutto, il contrario di tutto e il contrario delle precedenti!), e le pene anche. Prima di finire col minacciare di otto anni di galera chi ruba una mela per fame, facciamo una pausa.
La giustizia è lenta. Dopo l'arresto, possono seguire anni e anni per un processo, fino a chiudersi con la prescrizione del reato, e finire in casi patologici come Mills, che sì, ha ricevuto soldi dal presidente del consiglio, ma troppo tempo prima della pronuncia di una condanna definitiva (e nonostante la ben nota dichiarazione di assoluzione fatta dal tg1 il 26 febbraio di quest'anno).
E la giustizia non funziona, perché da sempre si usano due pesi e due misure. Quando muore qualcuno in carcere, anche se in attesa di processo è sempre un porco, un drogato e/o dio solo sa cos'altro. Se muore un agente di polizia, prima di tutto bisogna tessere le sue lodi. Se due ragazzini si spalmano contro un albero con l'auto sulla statale, erano ubriachi e l'incidente è stato provocato dall'alta velocità. Se invece a morire sono tre agenti della GdF che, in licenza, stavano rientrando in caserma, e l'auto ha fatto 80 metri fuoristrada spalmandosi su un albero e andando completamente disintegrata, guai a dire che è stata colpa dell'alta velocità, perché le cause dell'incidente sono del tutto ignote.
Se qualcuno riprende sei carabinieri che si accaniscono contro un ragazzo magrebino steso a terra, e uno ci si butta addosso di pieno peso con gesto da Wrestler, stiamo assistendo a un pestaggio presunto, mentre se un facinoroso tira un bolognino beccando un agente in testa, eh, no: lì non c'è più nessuna presunzione. Ultimamente ho scoperto una novità: abbiamo i filmati in due direzioni. Se le forze dell'ordine filmano gente allo stadio che se le dà di santa ragione, il filmato (e mi pare anche giusto) è una prova sufficiente per prendere tutti quelli che sono riconoscibili, arrestarli e praticare decine di DASPO. Se decine di filmati mostrano lo sparo di lacrimogeni ad altezza uomo, manganellate tirate con lo sfollagente a rovescio sulla testa di gente che è in ginocchio con le mani alzate (Genova docet) o un agente che prende un ragazzo di peso da un motorino e senza nessun motivo gli tira un pugno in pieno volto, noooooooooooooooooo: bisogna indagare, bisogna vedere, bisogna capire, ma dopo le indagini vediamo, se è il caso di indagare qualcuno. Ma niente paura! Se qualcuno ha sbagliato, se saranno accertate delle responsabilità, se mio nonno c'avesse avuto le ruote, se non interverranno la prescrizione o la non riconoscibilità degli agenti coinvolti, allora ci saranno severe condanne.
Il punto è uno, ed è semplice. Gestire la sicurezza è un lavoraccio, irto di difficoltà. Gli errori succedono fra le forze dell'ordine (e temo che le mele marce siano ben più di qualcuno isolato), ma anche le risse succedono, e succedono le devastazioni di piazza, e succede che senza cariche, senza lacrimogeni, senza arresti, senza una seria e funzionale gestione di una folla inferocita, si rischia la pura anarchia, e anche che una città venga messa a ferro e fuoco.
Per fronteggiare una folla inferocita di centinaia di esaltati che tirano sassi e bombe carta portandosi appresso un elmetto, uno sfollagente in fibra di carbonio gommata e uno scudo di policarbonato ci vuole fegato.
Ci vuole sangue freddo, ma soprattutto fegato, foderato di piombo. Dieci persone in mezzo alla folla tirano una decina di bolognini e bottiglie a testa, col kefia sulla faccia. Poi si indietreggia durante la carica, il kefia nella spazzatura e tutti in ginocchio con le mani alzate mentre la polizia avanza. Ecco: i cattivi poliziotti ce l'hanno con gli inermi e gli indifesi. Facile: così siamo bravi tutti.
Esistono molti modi per controllare l'avanzamento di una folla inferocita. Ci sono delle tecniche (avanzare compatti battendo i manganelli contro gli scudi, per produrre il rumore di un'armata che avanza, ad esempio) che sono collaudate da anni. E quando non basta creare un'immagine di forza, si carica. Si disperde, si usano gas lacrimogeni, spray urticanti, si fa (in Italia lo si fa pochissimo, eppure è uno dei sistemi più funzionali) largo uso di getti di acqua gelata ad alta pressione (un paio di manichette da 70 con l'acqua sparata a 5-6kilopascal sono un efficacissimo deterrente). Si potrebbero usare anche proiettili di gomma e granate stordenti/lancianti pallini di gomma, come si fa negli USA. Ci sono tanti modi, ma il metodo principale per affrontare e controllare una folla che avanza, una gigantesca rissa, è prima di tutto un sapiente, come diceva il buon Poirot, uso delle piccole celluline grigie.
Tenere in esercizio il cervello, peraltro, è utile quando poi serve prendere decisioni immediate, rapide, durante lo svilupparsi degli eventi: ad esempio quando fuori dallo stadio due tifoserie contrapposte si stanno scambiando una quantità industriale di papagni, per fermarsi solo giusto il tempo di coalizzarsi e lanciare quello che c'è a portata di mano contro gli agenti che sono lì con l'intenzione di riportare la calma.
Io sono stanco del perbenismo che invade la cronaca italiana ogni volta che i tutori dell'ordine sono coinvolti in indagini talvolta particolarmente scottanti, anche se riconosco che questo perbenismo è legato indissolubilmente al fatto che ogni mela marcia macchia l'uniforme di tanti padri di famiglia, di tanti eroi.
Tanti eroi, non tutti. L'errore che si fa, purtroppo, è questo. Quando una mela marcia infanga il buon nome delle FdO, dovrebbero essere gli stessi colleghi a fargli tabula rasa intorno. Invece in uno spirito di squadra legato alla non voglio dire palese, ma comunque diffusa impunità di molte mele marce, fa sì che si creino sempre di più fazioni contrapposte.
Pochi giorni fa ha fatto scalpore, negli USA, il filmato di un arresto di due sospetti di una rapina a mano armata, durante il quale un ragazzo messicano, fermato per sbaglio, prima viene insultato, minacciato e pestato, poi liberato. Gli agenti coinvolti si sono scusati in lacrime al telegiornale, ma ora (dato che al contrario che in Italia, in America manca spesso il senso della misura) sono stati sospesi, incriminati e rischiano fino a quindici anni di galera per una serie di reati (maltrattamenti, arresto irregolare, razzismo, insulti e compagnia briscola). Non è la prima volta che assistiamo a fatti del genere (sapete perché sono molto diffusi filmati del genere in USA? Perché piazzare la manina sull'obiettivo della telecamera è una violazione del, mi pare, terzo emendamento, e si prendono quasi automaticamente diversi anni di galera per palese violazione dei diritti civili. Per questo non lo fa mai nessuno), e la questione da dibattere con la situazione italiana non è il contesto. Non è la pena (due, massimo tre anni reclusione mi sembrano più che adeguati), ma la serietà del sistema giudiziario che pone chiunque si trovi davanti al giudice sempre allo stesso livello (avete presente "la legge è uguale per tutti"? Non è un caso se per "L'essenza oltre il buio" abbiamo scelto la frase "La legge non fa distinzione di razza o credo religioso").
In questo momento storico ci vorrebbe un po' di quiete: bisogna auspicarsi che la giustizia faccia il suo corso. Personalmente mi auspico che chi ha sbagliato paghi, non gravemente per lanciare un messaggio agli altri agenti che pensano di vivere in un film americano di serie z, ma sufficientemente da rendersi conto che "fare il proprio lavoro" è una cosa, prendere a pugni qualcuno, per quanto criminale possa essere, no.

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