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sabato 12 giugno 2010

Fuoco purificaci tutti!

-Non riuscirai a comprenderlo in tempo. Ma non ti preoccupare, non ti servirà a molto comprenderlo. Non è per te che è stato scritto, o pensato, o semplicemente concepito.
-Forse. Ma comunque è stato concepito. E se qualcuno è stato in grado di pensarlo, qualcun altro potrà anche svelarne i segreti. Non vedo perché non potrei essere io, quel qualcuno.
Lo guardai di sottecchi, con l'attenzione rivolta allo schermo del terminale portatile anche per non soffermarmi sulla terribile visione d'insieme. Era sporco, indossava abiti lerci e consumati, aveva due scarpe differenti, la barba incolta di almeno tre settimane. Solo a guardarlo faceva tanto di quel ribrezzo da farti venire voglia di allontanarti di almeno cento metri, e persino l'odore che emetteva ti faceva valutare seriamente quella ipotesi.
Ma lo ammiravo. Lo ammiravano tutti. Era un mito. Seduto su una pietra infangata con le gambe incrociate, sulla vetta della collina, le mani consumate dal lavoro sulla terra, un sigaretto consunto e fetente che teneva fra le dita tremolanti della mano sinistra, e gli occhi.
I suoi occhi blu, profondi.
Come il più misterioso degli oceani. Come l'immagine rilassante del cielo nello sfondo dei sistemi multilivello basati su quella nuova versione del sistema operativo.
I suoi occhi ti lasciavano senza fiato.
Aveva l'espressione rilassata, l'aspetto di un vecchio agricoltore sul suo terreno che si gode una meritata pausa dopo una giornata trascorsa sui campi. Ma i suoi occhi.
Avevi paura dei suoi occhi.
Pensavi che ti avrebbe potuto uccidere con i suoi occhi. Ucciderti. Con la sola profondità del suo sguardo, anche a miglia e miglia di distanza.
Riportai lo sguardo che fugacemente si era soffermato su di lui, sul terminale.
Gli eventi degli ultimi sei giorni avevano cambiato completamente la mia vita. Mentre osservavo quei simboli, il mio raziocinio sapeva che avrei dovuto occuparmi di decifrare quel codice, ma la mia mente divagò quasi subito, tornando al primo giorno. Tornando a come era cominciato tutto quanto. E come non tornare indietro? Era passata meno di una settimana, da quando era cominciato tutto quanto.
Il mio nome, non ha importanza. Quello della larva umana che mi stava davanti con quegli occhi blu fumando un minibido, neppure. Numeri. Ecco quello che siamo. Solo numeri.
Io sono stato un numero uno, nel mio campo. Nel mio piccolo.
Ho una famiglia.
Una moglie amorevole.
Una magnifica bambina di sette anni.
Una casa: una bella villa in periferia, dotata di ogni comfort.
Auto sportive.
Moto, computer, dipendenti.
Un intero impero nelle mie mani.
Che schifo!
Ora che guardo l'uomo che è stato (ed è) la guida spirituale per tantissimi, provo schifo e vergogna per me stesso.
Sono arrivato a questo punto con anni di duro lavoro e sudore della mia fronte, senza dover mai dare conto a nessuno di quello che facevo. Come lui. Sono riuscito a superare molte sfide, molte analisi, grazie al raziocinio. Grazie alle conoscenze in ambito tecnico ma, soprattutto, grazie alla mia mente fredda e matematica. Anni di tecnologie sempre più evolute hanno insegnato a tutti come appiattire la vita e renderla un lento e noioso fluire dalla mattina alla sera nel solito tran-tran quotidiano.
Un lento e noioso fluire dei giorni, delle settimane, dei mesi, degli anni. Novità? No, le solite cose, sai.
E invece no! Porcaccia miseriaccia: per una volta no!
Non dopo aver visto come chiudere con tutto e con tutti, non quando è finalmente possibile scandire la propria vita senza temi, senza titoli, senza 140caratteri, senza la tastiera del computer, senza smartphone, senza terminale, senza terminazione, senza corrente elettrica, perché no?
Il raziocinio. Ritrovare il raziocinio, scoprire che la mente umana è un'arma meravigliosa e terribile, anzi riscoprirlo. Scoprire che forse la radice quadrata di 78432 non è "batteria della calcolatrice scarica". Anzi no, scoprire proprio che non serve una macchina per tenere in esercizio la mente.
Isolamento.
Questo ci vuole, per capire, per pensare, per ragionare. No, isolamento per sentire i propri pensieri, per sentire in mezzo alle onde wi-fi, bluetooth e hyperlan che c'è ancora del raziocinio. Che l'uomo può ancora pensare.
Che esiste ancora la fantasia.
Sei giorni fa ho lasciato tutto. Ho lasciato tutti. Ho lasciato tutti e tutto, e sono entrato nel "monastero".
Che bel nome. Antico. Altisonante. D'altronde, mi hanno detto che l'edificio molti, tanti, troppi anni fa ospitava proprio un monastero. E ora quello che serve è solo silenzio, una cella fredda, un letto duro, e niente tecnologia. Niente corrente, niente telefoni, niente terminali, niente di niente.
-Le notti a lume di un mozzicone di candela e i giorni scanditi solo dallo scorrere del sole e dal bisogno di respirare a pieni polmoni a stretto contatto con la natura, sono duri. All'inizio per tutti sono duri. Il primo giorno è quello in cui decidi se hai carattere. Se sei carismatico. Molti vengono al monastero, pochissimi superano il primo giorno. Io sono il Priore. Da quando uscirai da questa cella, sarai solo tu, la tua mente e gli altri, se vorrai rapportarti con loro. Qui vige solo una regola: coloro che alzano il cappuccio del saio sulla testa applicano la regola del silenzio. Non potrai parlare con loro: loro non parleranno con te.
Che belle parole. Alzai il cappuccio sulla testa non appena giunsi all'arcata della porta per uscire, e da allora per tutti i sei giorni di permanenza non lo abbassai mai.
Il primo giorno passò. Lento, omologo, poco efficace, e il terrore che mi fece tremare la colonna vertebrale fu quello che in qualche modo nel monastero si cooperasse solo per costruire l'ennesimo cliché di vita preconfezionata e dettata da regole di ripetitività generica. Ma superai il mio primo giorno dimostrando una forza d'animo mai vista in anni di monastero.
Nessuno me lo disse, perché invitando a rispettare la mia scelta del silenzio portavo sempre il cappuccio del saio sdrucito ben alzato sul collo e sui capelli corti e spettinati, che in quei sei giorni giunsero anche a un opportuno livello di lerciume non dissimile a quello del personaggio che ora, alla fine di tutto, mi stava osservando. Anche una settimana di barba cominciava a darmi fastidio, ma era una sensazione lontana, assente.
Gli ero vicino lo stesso. Nonostante il fetore che emanava. Nonostante desse l'impressione di essere un pazzo. Ma gli stavo vicino perché avevo provato quelle sensazioni anche io. E se io avevo assaggiato la profondità di quello stato dopo sei giorni, pur sapendo di non avere la forza di affrontare una vita di privazioni, ascetica come quella della nostra guida spirituale, lo ammiravo. Lo ammiravo proprio perché aveva trovato il coraggio di allontanarsi da tutto. Di allontanarsi così tanto da essere riuscito a capire il passato, il presente e il futuro della tecnologia senza neppure bisogno di esserne a contatto.
Il secondo giorno rimasi a passeggiare nel giardino interno del monastero. Cercavo di mettere in ordine la mia testa. Cercavo di trovare il bandolo della matassa di pensieri e ragionamenti che - finalmente - urlavano dall'interno del mio cervello cercando di uscirne tutti assieme appassionatamente.
E fu dura, ma quando giunsi alla sera e mi ritirai nella mia cella, in attesa di addormentarmi sul duro letto di pietra e fieno, cominciavo già ad assaporare un senso differente del tempo.
-Non cercare di trovare segni di una profondità disarmante. Non immaginare chissà quali allitterazioni metafisiche, né intricate e poco controvertibili formule trigonometriche sviluppate in codice esadecimale o che coinvolgano magari anche l'insieme dei numeri complessi coniugati: la strada è molto meno complessa di quanto possa apparire al primo sguardo. Non è una strada semplice, e non a caso ti dico che sinora in centinaia di anni che si tramanda questo codice, nessuno è mai riuscito nell'intento. Cadiamo nella superstizione, nella leggenda e profezia che vuole dell'esistenza di un uomo dalla mente contorta eppure pura, forse un pazzo. Un uomo che potrà decifrare questo codice senza bisogno di studiarlo. Un codice concepito da una mente superiore...
-No. Non è opera di una mente superiore, è opera di una mente libera, ma inferiore. Vuoi la verità? Quello che non vi tramandate dai secoli è un rasoio di Occam: questo codice è stato concepito da un uomo che non ha mai conosciuto la tecnologia, la tecnica, la matematica. Nulla. Forse da un uomo che non era neppure in grado di leggere né scrivere, o fare di conto.
Il terzo giorno. Oh, il terzo giorno, come mi ricordo il terzo giorno. Come dimenticarsi quel giorno in cui uscii dal monastero solo per passeggiare fino al limitare del bosco? Solo per scoprire che c'è ancora un sole che splende alto nel cielo, solo per scoprire che ci sono ancora uccelli che cinguettano. Per scoprire che la natura esiste, e va avanti secondo un disegno che non si può sintetizzare in una formula matematica. Che non si può sintetizzare in 140 caratteri, che non si può far diventare un concetto.
E il quarto giorno, che semplicemente passò.
E il quinto. No. Il quinto no, il quinto fu il giorno difficile: sapevo che mi rimanevano solo ventiquattrore prima di dover incontrare di nuovo il maestro. Sapevo che avrei dovuto trovare una risposta, e che la risposta non era solo e semplicemente dettata dalla quiete interiore che stavo raggiungendo. Che non era solo dettata dai miei pensieri che finalmente avevano trovato il loro spazio e la loro realtà, senza bisogno di urlare per cercare di venire fuori da una mente offuscata dai tempi e dai ritmi della tecnologia.
Ma quel sesto giorno, all'alba, fu il giorno. Ero uscito di corsa dalla cella, di nascosto. Avevo camminato per delle ore fino ad arrivare dal maestro. Ero sudato, la bocca impastata, la gola riarsa. In piedi, davanti al maestro guardavo il terminale e leggevo il codice.
No. Guardavo il terminale, tenendolo il mano come un oggetto sconosciuto. Solo sei giorni avrebbero potuto cambiare radicalmente la mia vita, il mio rapporto con la tecnologia, forse persino il mio rapporto con l'intero universo.
Ma poi, all'improvviso tutto divenne chiaro. Come se quell'accozzaglia di caratteri casuali fosse diventato all'improvviso uno di quei pensieri-in-140-caratteri da social network tanto di moda. Breve, conciso, forse persino ridicolo.
Panta rei.

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