In televisione non c'e' un corno, sto facendo un po' di sacro zapping quando l'immagine si ferma su Video Siracusa, dove in bella vista c'è il piazzale di viale Zecchino di fronte a "Moda Italia" con un camion dei pompieri in bella vista davanti. Il giornalista continua a parlare di un atto vile etc. e prendo visione tramite le immagini ed il racconto di quanto è effettivamente accaduto: ignoti hanno messo un ordigno incendiario dentro l'ascensore della Torre Zeta, il quale si è incendiato registrando gravi danni a tutta l'infrastruttura dell'ascensore stesso e, solo per fortuna, senza provocare feriti o altri problemi.
Il palazzo a Siracusa è noto perché sede delle principali emittenti televisive siracusane, ed è anche per questo che l'attentato assume un significato molto grave, specie se raffrontato con i precedenti avvenuti ai danni della CGIL, appunto, e con questo ultimo venturo presso il pronto soccorso dell'ospedale Umberto I di cui ho appena letto.
Dopo i fatti accaduti con l'Irish Pub "Ulysses" mi sembra che a Siracusa stia tornando a prendere piede quella "strategia della tensione" che in passato ha disseminato atti intimidatori per mezzo di incendi [e/o bombe] sparsi per tutta la città. Mi auspico di no: c'è bisogno di incutere sicurezza nella gente.
Diverse volte, con diversi amici, considerando le "guerre" di criminalità che ci sono state in passato [quali i casi dei contrabbandieri in Puglia] o attualmente [cfr la situazione fra gli scissionisti di Scampia], abbiamo discusso di quanto era accaduto con gli anni bui della mafia in Sicilia.
Ci volle il duplice attentato a Falcone e a Borsellino perché lo stato capisse che bisognava smuovere il cu%o e non bastavano i buoni auspici.
Qui a Siracusa per anni abbiamo avuto i "Vespri Siciliani". Se siete siciliani, sapete cosa intendo, se non lo siete, vi racconto qualcosa.
cito dal sito dell'esercito italiano, con le mie note fra parentesi quadre:
(Sicilia, dal 25 luglio 1992 al 8 luglio 1998)
L'operazione Vespri Siciliani rappresenta il primo intervento in grande stile, per ragioni di ordine pubblico, effettuato dalle Forze Armate nel dopoguerra.
Vi era stato, in precedenza, l'invio in Sardegna di circa 4.000 soldati per l'esercitazione Forza Paris, avvenuta nelle fasi conclusive (luglio 1992) del sequestro del piccolo Farouk Kassam, ma in quel caso si era trattato di un'attività addestrativa "allargata" (pattugliamenti e rastrellamenti) che, guarda caso, era stata condotta nei possibili luoghi di rifugio dei banditi.
C'è da rilevare che l'operazione Forza Paris aveva avuto una larga eco nelle sedi politiche e sulla stampa nazionale per le polemiche sulla possibile e temuta "militarizzazione" dell'Isola.
Una serie di tragici eventi in Sicilia avrebbe di lì a poco spazzato via questi timori, riproponendo come essenziale la presenza dell'Esercito anche nelle operazioni di appoggio al mantenimento dell'ordine pubblico, peculiare compito delle Forze di Polizia.
Il fatto decisivo è avvenuto il 19 luglio 1992, data ormai entrata nella storia contemporanea italiana, con l'assassinio del giudice Paolo Borsellino e della sua scorta.
Un fatto gravissimo, tanto più che due mesi prima, il 23 maggio 1992, un altro splendido magistrato, il giudice Giovanni Falcone, era stato ucciso, anche lui insieme alla scorta, nella deflagrazione causata da un quintale di esplosivo sistemato in un sottopasso dell'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi (ribattezzato recentemente FALCONE-BORSELLINO) alla città di Palermo.
Il livello di qualità degli attentati, sia per la posizione ricoperta dalle vittime che per la peculiarità dell'esecuzione, avrebbe dovuto confermare, nel disegno dell'organizzazione criminosa, la forza della sua classe dirigente a dissuadere chi ancora indagava cercando di avvicinarsi al cuore dell'organizzazione stessa, contando anche sullo stato di difficoltà del Parlamento di allora che attraversava un momento critico per le note vicende connesse alle inchieste di tangentopoli.
L'esplosione della Fiat 126 in Via Mariano D'Amelio a Palermo ha avuto invece l'effetto di risvegliare la coscienza nazionale e di avviare una provvida e pronta reazione dello Stato che, valutando opportuno e necessario dare un segnale forte del suo rinnovato impegno di presenza in Sicilia, decise di riprendere il controllo fisico del territorio.
Il governo prendeva così la decisione di utilizzare in modo massiccio l'Esercito, assegnandogli il compito di "concorrere, con azioni sostitutive ed integrative, all'attività di controllo del territorio e alla vigilanza di obiettivi di particolare interesse normalmente devoluti alle Forze dell'Ordine, secondo direttive impartite dai Prefetti ai comandanti militari".
[Di fatto, vennero istituiti dei presidi fissi di forze armate in prossimità degli "obiettivi sensibili", che a Siracusa erano rappresentati soprattutto dall'ex palazzo di giustizia di piazza della Repubblica, l'aula bunker di via Elorina, l'abitazione del prefetto di largo dei cappuccini e le abitazioni private di alcuni giudici e/o personaggi "eccellenti" (da non dimenticare che Siracusa è anche la città natale di Fabio Granata, che al di là del voler guardare il colore politico, è stato presidente della commissione regionale antimafia); presidi fissi di soldati armati di mitra e garritte in vetro antiproiettile]
Ed ecco che nelle ore successive alla strage di via D'Amelio nella capitale venivano rapidamente superati gli ostacoli per l'ingresso in campo di una variabile che senz'altro non era stata presa in considerazione dall'organizzazione criminale: l'Esercito.
Migliaia di militari avrebbero pacificamente invaso di lì a poco l'Isola, presidiando posizioni preziose e riaffermando visivamente la presenza e l'autorità dello Stato anche solo con la dimostrazione di disciplina ed efficienza data dai reparti in armi.
Migliaia di Ufficiali, Sottufficiali e Soldati con il loro intervento avrebbero liberato altrettante forze destinate alla vera e propria caccia ai mafiosi.
Gli effetti si sarebbero visti nei mesi seguenti con la cattura di alcuni latitanti "eccellenti", fra i quali lo stesso Totò Riina che circolava tranquillamente per Palermo, fino ad arrivare al numero due della Cupola, Leoluca Bagarella, il quale sfrontatamente aveva posto il suo domicilio a pochi metri dall'abitazione del procuratore Guido Lo Forte.
L'invio dell'Esercito venne deciso il 24 luglio 1992 in una riunione convocata a Palazzo Chigi dal Presidente del Consiglio Giuliano Amato. Nell'incontro vennero superate alcune perplessità sull'impiego dell'Esercito in operazioni di ordine pubblico: in particolare venne risolta la questione preliminare posta dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, generale Goffredo Canino, circa la veste ufficiale da attribuire ai militari impiegati.
Una precedente esperienza in tal senso era stata effettuata durante la Guerra del Golfo per incrementare il servizio di vigilanza antiterroristico; allora era stata messa in rilievo la farraginosità del sistema di affiancare ad ogni pattuglia di militari un carabiniere o un agente di pubblica sicurezza, gli unici che nella loro veste di ufficiali di polizia giudiziaria potevano effettuare controlli sui cittadini.
La delicata questione venne risolta grazie anche all'incondizionato appoggio del prefetto Parisi, attribuendo ai militari le funzioni di agenti di pubblica sicurezza, anche se con determinate limitazioni: così sarebbe stato per loro possibile procedere all'identificazione e alla perquisizione sul posto di persone e mezzi di trasporto, ma subito dopo, nel caso di eventuali ulteriori accertamenti, l'attività sarebbe passata agli uomini della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri.
[Ora, per quanto in quel periodo era normale venire fermati ai posti di blocco anche due, tre volte alla settimana (talvolta venivano posti valichi ai quali tutti quanti venivano identificati e spesso perquisite le automobili), mi sento di dire tranquillamente che la presenza dello stato era palpabile ed incuteva sicurezza nella gente.]
Anche il timore di una "militarizzazione" della Sicilia venne prontamente escluso da una catena di comando e controllo che trovava un momento decisionale nelle sedute dei Comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, tenuti sotto la guida dei prefetti e ai quali avrebbe partecipato un ufficiale dell'Esercito. Questi avrebbero recepito la necessità di impiego delle truppe riportandole poi ai comandi delle zone di intervento nelle quali per l'occasione sarebbe stata suddivisa la Sicilia. I militari impegnati venivano posti sotto il coordinamento del Comandante della Regione Militare Sicilia, che avrebbe mantenuto uno stretto contatto con le superprefetture di Palermo e Catania incaricate di coordinare le attività delle forze dell'ordine rispettivamente nella Sicilia Occidentale e Orientale.
Ci vuole una ripetizione. Ci vogliono operazioni del genere per consentire ai reparti investigativi di non dover gestire un pesante carico di lavoro minore e per consentire alla gente di poter uscire per strada a testa alta, anziché rischiare ogni giorno di dover evitare pallottole vaganti, incendi etc.
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