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mercoledì 6 febbraio 2013

Salvo il bambino, morto il reduce, ma chi ha vinto?

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L'America in questi giorni sta affrontando con serie difficoltà il discorso "armi per tutti e dappertutto". Che non è il problema per cui c'è una grande diffusione di presunte scacciacani prodotte da Henry Deringer, né tantomeno il "grillo tonante" di Will Smith, quanto piuttosto il fatto che ci sia una non indifferente diffusione di armi d'assalto, tanto che si abbia l'impressione che sulla parete della master bedroom si tenga un Colt M4 al posto di un crocifisso (o di qualche mensola infarcita di peluche, come il sottoscritto eheheh).
Ma scherzi a parte, il problema appare ben più serio di quanto possa sembrare: un ragazzo preliceale litiga con la fidanzatina che vuole sbaciucchiarsi il quarterback della locale squadra di Football e quindi anziché sfidare il rivale per l'onore in un duello a braccio di ferro [o a "birra e salsicce" come in "Altrimenti ci arrabbiamo" (-: ] si presenta a scuola con una bella pistola automatica e fa in modo di togliere il problema alla radice. Perché se uno c'ha una pistola in mano a quindici-sedici anni le cose possono essere solo due:
prima) siccome a otto anni faceva scoppiare il sacchetto delle patatine e a dodici sparava i miniciccioli a capodanno, è convinto che anche una pistola sia solo un giocattolino che fa un gran bel botto;
seconda) i genitori e i parenti di quel ragazzino sono cresciuti con la convizione di cui alla prima ipotesi, e quindi hanno fatto crescere i loro figli su questo ragionamento.

Perché a un certo punto mi fermo a pensare. E penso che non è possibile che ci sia una tale diffusione di armi da fuoco in un paese civile. Eppure poi smetto di pensare e mi limito a guardare. A guardare le notizie, a guardare i giornali, a guardare la cronaca.
E praticamente OGNI GIORNO in America vedo che succede qualcosa che ha a che fare con le armi da fuoco. Qualcosa, parola con cui non intendo «una sparatoria fra i criminali rapinatori brutti e cattivi e la polizia», bensì situazioni come: «ragazzino che spara a scuola», «tizio che ha starnutito e il vicino di casa per non dirgli "salute" gli ha scaricato contro un caricatore», «simpatica signora ottantenne che ha scambiato il postino per un malintenzionato e gli ha aperto una presa d'aria sulla gamba con il fucile da caccia del marito».
O peggio.
Come «reduce del Vietnam sale su uno scuolabus, uccide l'autista a pistolettate, si porta via un bambino e si sigilla una settimana dentro un bunker antiatomico».
Che sembrano notizie prese da un fumetto. Questo è un lavoro per Superman!
No, questo non è un fumetto: non è il canale dei cartoni animati dell'uomo ragno, è il canale della cronaca in diretta 24 ore.

Voglio essere sincero: sin dal primo giorno di sequestro sono stato molto pessimista: ero obiettivamente convinto che essendo il tizio incastonato in una struttura di cemento armato, le cose sarebbero in più sensi precipitate. Ho accolto con un sospiro di sollievo la conclusione della storia nella quale il ragazzino ne è uscito illeso (fisicamente, quanto a "psicologicamente" sarà meglio riparlarne più avanti, temo).
Ma ugualmente mi chiedo: chi ha vinto? I buoni? E hanno perso i cattivi? Il reduce della guerra del Vietnam non è stato una vittima del sistema?
E il bambino, non è stato anche lui una vittima di una nazione di perbenisti con la pistola sotto il cuscino?
Lasciamo che ce lo dica la lobby americana delle armi, che vuole che gli insegnanti possano difendersi facendo fuoco contro queste persone pericolose: così i bambini cresceranno fin da piccoli non già imparando la differenza fra bene e male, quanto piuttosto quella più utile fra calibro 9 e 7.62 NATO.

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