Ho sempre pensato che il rispetto per le fedi religiose e le scelte di coscienza degli altri passasse non solamente attraverso il limitarsi a non condividere le scelte degli altri ma lasciare che le potessero fare in piena libertà, ma soprattutto che tale rispetto fosse un gesto di reciproca civiltà e, in generale, di quieto vivere fra uomini.
Per questo ho sempre visto con occhio critico tutte le operazioni commerciali nate con l'idea di finanziare movimenti religiosi che si aprissero nei confronti degli altri, passando dall'obolo volontario a una tassazione iniqua e che colpisce credenti e non (si consideri ad esempio la pesante fetta di otto per mille non "firmato" per una destinazione e destinato pertanto allo sviluppo della chiesa cattolica).
Per questi motivi non posso che approvare la normativa che, in Germania, richiede all'utente di indicare allo stato quale sia la sua chiesa e fede religiosa d'appartenenza, affinché lo stato chieda (giustamente) di versare una tassa, denominata Kirchensteuer, solo agli appartenenti di quella fede religiosa: è giusto che un movimento religioso riceva dei finanziamenti da parte dei fedeli per sostentarsi, non è giusto che tali finanziamenti debbano giungere anche da chi non segue o approva i loro precetti religiosi.
Ed è con un sorriso che apprendo la notizia di questi giorni a proposito del fatto che molti cittadini tedeschi dichiarano all'anagrafe la non appartenenza a nessuna fede religiosa per non dover pagare la tassa; con un sorriso perché la chiesa cattolica (quella di "ama il prossimo tuo come te stesso") in Germania è corsa ai ripari: chi non paga la tassa, non ha più diritto a presenziare né ricevere i sacramenti (a parte quelli "d'emergenza" in punto di morte). Notizia riportata ad esempio da UAAR, o dal Fatto Quotidiano, e ancora dal nuovo prodotto di Luca Telese "Pubblico".
Chissà se può essere un segnale per le chiese e per i fedeli.
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