Dopo un breve tragitto (in effetti circa un quarto d'ora, quasi quanto tornare a casa di Francesco, visto il traffico medio cittadino), siamo giunti al centro e siamo entrati. Dopo un breve giro di nuovo relativamente poco fruttuoso (ma la chiara idea che i centri commerciali etnei sono abbondantemente diversi da quelli che facciamo a Siracusa...) ci dirigiamo verso il bar per rifocillarci un attimo prima di ripartire.
Immagine tratta da Wikipedia |
Ok, io una cioccolata calda, Francesco una bibita, il figlio di Francesco una tortina, l'altro un gelatino da 50 centesimi, va bene siamo organizzati? Bene così? Confermato? Confermato. Arriviamo alfin in cassa, e quindi snocciolo le varie ordinazioni e concludo con la mia: "... e infine una cioccolata calda". Che sulla lista è la quinta consumazione dopo le variazioni di caffè, cappuccino e mokaccino. Ma a questo punto il barista mi guarda come se fossi appena uscito da un quadro neocubista, e con un'inflessione vocale fra l'inorridito e lo sconvolto mi fa: "Signore! Ma a quest'ora noi non serviamo più le colazioni..."
Segue un minuto di silenzio, durante il quale io e Francesco ci guardiamo l'un l'altro proprio per capire se per caso uno di noi non sia diventato un extraterrestre, poi ripiego su una bevanda al volo. Ma ciò non toglie che mi sono sentito come Michael Douglas in "Un giorno di ordinaria follia". Ma che cosa significa che il bar che offre specialità svedesi che arrivano preconfezionate e identiche in tutti i punti vendita IKEA dell'orbe terracqueo... alle 18 non servono colazioni? Ma la cioccolata calda è una colazione? E anche ammesso: ma c'è freddo, cavoli, è anche piacevole...
Sono senza parole...
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