mercoledì 14 dicembre 2005

Carico, problemi e guai

Da quasi un mese non aggiorno il blog.

No, non sono morto, ne' e' un problema legato ad un gigantesco carico di lavoro.
E' peggio, decisamente molto peggio.

Mi ritrovo con il garage/ufficio in condizioni a dir poco disperate (spero in questi giorni di rivedere un po' le stelle), con il lavoro che mi consuma lentamente (e che mi sta facendo guadagnare poco, o forse sono le spese che sono aumentate troppo: mi sa che mi conviene cominciare a pensare seriamente di smettere di fumare) e con tutta una serie di problemi per i quali - come sempre - mi ritrovo a dover essere io l'ultima ruota del carro.

Ma andiamo per gradi che e' meglio.

Intanto martedi' pomeriggio, approfittando del maltempo (lo stesso maltempo che ha mandato in tilt i preparativi per la festa patronale) siamo andati a vedere il nuovo centro commerciale dei pantanelli (carrefour+unieuro+altraroba).

Il centro si presenta abbastanza bene, anche se abbastanza confuso. Mentre eravamo li pioveva, e pioveva sul serio, nel senso che pioveva dentro il centro commerciale: all'unieuro c'erano i secchi in mezzo ai corridoi e al carrefour invece una goccia d'acqua modello "bicchierata" (per non dire "secchiata") mi si e' abbattuta sulla pelata mentre guardavamo la sezione console/psp (ero con amici...).

All'unieuro ho incrociato un po' di conoscenti, ed ho appurato che: la loro rete lan e' basata su un sistema fujitsu/siemens, su un server unix (probabilmente openserver o linux...) e i client (windows xp ovviamente) ci si collegano attraverso putty (le postazioni di situ) o netterm (le casse...)

Il tempo e' stato sempre dovunque e comunque da cani (addirittura uscendo abbiamo notato che esiste un parcheggio "sotterraneo" e che lo stesso era STRAPIENO d'acqua, ad altezza uomo!

In mattinata, invece, mi sono saltate un po' di cose e alla fine dopo un paio di clienti sono salito al volo da NR prima di un ulteriore cliente e poi di casa.

La pioggia di questi giorni un po' mi preoccupa: in effetti non sono ancora andato a vedere se - per caso - a causa del maltempo ho riportato danni da acqua nel magazzino che ospita la mia roba in attesa del trasferimento definitivo qua sotto...

Poi abbiamo la cosa piu' importante. Mio zio sta seguendo la stessa strada di mio padre: un tumore lo sta consumando lentamente. Adesso e' in clinica, in condizioni gravi.
Da un paio di giorni ha difficolta' ad articolare le parole, ed e' veramente brutto vederlo in quelle condizioni: tutto questo non solo mi riporta indietro a quando questi problemi li ho dovuti vivere sulle mie spalle alcuni anni fa, ma soprattutto mi porta ad analizzare la situazione con la freddezza di una cosa gia' vista.
Il percorso mi e' noto, purtroppo: non gli resta moltissimo, a voler essere molto ottimisti circa un mese; fra qualche giorno ci saranno i primi problemi muscolari e in circa 48 ore sfocieranno in una paralisi quasi totale (compresi i muscoli del tratto digestivo) gestita con lunga pratica di fleboclisi per nutrirsi (ma gli metteranno la butterfly: se lo scordano di fargli venire le braccia nere come fecero con mio padre), poi i problemi cardiaci (il cuore viene stabilizzato con un cardiotonico a base di digitale), la terapia del dolore con alcaloidi oppiacei (in questa fase soprattutto morfina) e' gia' iniziata e, con essa, i primi sintomi (rilassamento dei muscoli facciali e difficolta' a muovere/chiudere/sbattere le palpebre: fase di riposo, sonno e sedazione avengono a occhi socchiusi). Ci sono blandi problemi respiratori e questo comporta la somministrazione dell'ossigeno, ma lui lo trova fastidioso perche' tende a seccare la bocca e la gola (e' brutto vederlo lamentarsi silenziosamente tentando di togliersi il tubetto nasale).

Questo e' il "male del secolo": il cancro tende a consumare lentamente il paziente come una candela che si brucia fino a giungere al fondo e spegnersi. Sono questi fattori (molto piu' di quelli inerenti gli stati di coma piu' o meno reversibili) ad aprire maggiormente la discussione sull'ambito dell'eutanasia.
E ora voi mi direte: "stai augurando a tuo zio di morire". Si. E' vero. E' un gran dolore non solo per i suoi familiari piu' stretti, ma anche per se stesso. Ed e' un dolore che si consuma nella maniera peggiore: non finisce velocemente. Al di la' della "vita" disponibile quando si entra nella fase terminale, il problema e' come viene trascorsa questa "vita" (fra virgolette), ma soprattutto come arriva il momento conclusivo.
Mio padre inizio' il "travaglio" alle sei del pomeriggio ed il suo ultimo rantolo e' avvenuto alle due e mezza di notte. Sino a quel momento c'erano respiri e rantoli fondi, secchi e particolarmente discontinui.
Si dice che la "morte del giusto" e quella morte dolce che viene a colui che si addormenta e non si risveglia piu'. Ma cosa porta invece un passaggio cosi' doloroso e terribile (sia per il paziente, o piu' che altro nelle sue ultime ore per la vittima, sia per i parenti ed amici che gli stanno intorno sul letto di morte)?
La terapia del dolore inizialmente vuole sedare e ridurre in qualche modo i grandi dolori legati alla disfunzione nervosa, agli organi che cominciano a non fare piu' il proprio dovere, a cercare di offrire al malato terminale uno spiraglio di quiete in piu' nei suoi ultimi giorni. Ma poi il corpo non reagisce piu' alle sostanze stupefacenti, il dolore diventa insopportabile ma, ormai, le terminazioni nervose faticano a trovare la strada del cervello, che non reagisce piu' agli stimoli come dovrebbe.
Una persona in coma secondo alcuni potrebbe anche risvegliarsi, reagire, ritornare nel mondo dei vivi e questo porterebbe seri dubbi sulla funzionalita' o utilita' della "dolce morte". Ma che dire di un malato di cancro allo stadio terminale? Che dire a qualcuno le cui metastasi sono sparse su tantissimi organi e cominciano ad intaccare il tessuto celebrale, e per cui il decorso e' chiaro fin dall'inizio e non puo' essere cambiato chirurgicamente, medicamente o chimicamente?
Sono del parere che le parole "accanimento terapeutico" siano usate con troppa difficolta' e abbiano a far pensare a qualcosa di veramente violento, lungo, complesso, "accanito"; qual'e' il limite fra cura e accanimento? Io per esempio nei confronti di un malato terminale sono del parere che qualsiasi genere di meccanismo atto a prolungare inutilmente le sue sofferenze sia un accanimento terapeutico. Sottoporre a dialisi un malato terminale di cancro perche' non funzionano piu' i reni.
Collegare un respiratore automatico, o addirittura un pacemaker (o la macchina cuore-polmone) perche' la funzione cardiaca o quella cardio-polmonare sono compromesse... Se la funzione cardio-polmonare e' compromessa, significa che il cuore, i polmoni, il circolo sanguigno, non ce la fa piu'. Che senso ha continuare a tenere in funzione una singola cosa, quando tutto il complesso sta crollando su se stesso come un castello di carte?
Che senso ha prolungare l'agonia di un malato terminale? La stessa terapia del dolore: una somministrazione statica di stupefacenti (la stessa quantita' ad intervalli regolari) quando lentamente le funzioni renali ed epatiche se ne stanno andando all'inizio aiuta a superare il dolore, ma alla fine porta il malato in un inutile e dannoso stato catatonico non certo migliore di quello provocato dalla malattia in se stesso.

Perche' non limitarsi a porre un punto fermo?

Perdita della funzionalita' epatica, renale, muscolare, cardio-respiratoria, digestiva e nervosa: il paziente rimane in stato catatonico, non reagisce a nessuno stimolo esterno, la terapia del dolore ormai non viene recepita dalle terminazioni nervose ed il cuore rimane sotto controllo solo per via della digitale in circolo.
Non e' la descrizione degli ultimi minuti: questa puo' essere la descrizione dell'ultima settimana. Una settimana intera, ed inutile. A che pro continuare a somministrare la terapia del dolore, magari addirittura la chemio? A mio padre venne somministrato l'alpha-interferone sino all'"ultima dose" (quella pomeridiana) persino il suo ultimo giorno.
La sua ultima flebo (attaccata al butterfly che io avevo collegato alla sua mano sinistra) aveva compreso come sempre: digitale, alpha-interferone, gardenale (e' un barbiturico: terapia del dolore) e soluzione salina. Approssimativamente sei ore dopo il nostro medico di famiglia, buttato giu' dal letto, ne dichiarava il decesso. Se fosse resistito altre tre o quattro ore avrebbe preso di nuovo gli stessi farmaci. A che pro?
Perche' non limitarsi a concludere questa sofferenza lunga ed inutile? Perche' prolungare questa agonia? A che pro?
Personalmente ho pensato molto a questa situazione, e personalmente penso che se dovessi finire io in queste condizioni, consumato lentamente da un cancro, preferirei che i problemi cardiaci venissero sedati definitivamente con una generosa quantita' di soluzione isotonica di digitale e stricnina, da iniettarsi direttamente nella bottiglia della flebo per la notte, subito dopo un blando ipnotico tale da facilitare il sonno senza stordire esageratamente.

Penso di poter dire con molta tranquillita' che molte delle persone che non la pensano come me e ritengono che l'eutanasia sia invece un puro omicidio, debbano prima provare a passare dentro una situazione del genere.

E' tardi. Ho sonno e domani mi aspetta una giornata ancora piu' orrenda, con la geniale conclusione di una visita a catania per incontrare un partner commerciale. Poi un paio di clienti al ritorno in citta' e - se il tempo (meteorologico) lo permette, un salto veloce al garage/magazzino per verificare lo stato delle cose.

Alla prossima.

AGGIORNAMENTO
16 dic ore 5:45
A seguito di un improvviso aggravarsi delle condizioni epatiche e renali, che di rimbalzo ha provocato un blocco cardiaco e respiratorio, mio zio non ha superato la notte.
Il funerale si terrà Sabato 17 alle ore 9:30 presso la chiesa di Grotta Santa, in via Servi di Maria 1.

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