Quando ho iniziato a frequentare il liceo (e stiamo parlando di quasi vent'anni fa, gosh) il glorioso Einaudi, di glorioso a livello dell'istituto c'aveva ben poco: oltre ottocento studenti piu' il personale, tutti sparsi in un affare di ben cinque piani.
L'unica scala (larga circa un metro e venti) faceva bella presenza con i due ascensori a chiave codificata e per sole quattro persone in cui un povero cristo in carrozzella non ci sarebbe mai entrato, a parte che comunque gli ascensori li si raggiungevano solo dopo aver passato tre ampi scalini all'ingresso.
Vie di fuga? Ma scherziamo! E cosa credete: ricordate che il 13 dicembre 1990 c'e' stata una buona scossa di terremoto? Bene! Pero' forse non ricordate che una scossa di terremoto ci fu anche giovedi' 15 novembre 1990, intorno a mezzogiorno. Io me la ricordo. E se la ricorderanno di sicuro anche alcuni miei ex compagni di classe, magari il mio ex compagno di banco Daniele A.
Si ricorderanno tutti quel compito di matematica in compagnia del professore F, quando all'improvviso meta' della gente in aula, concentrata e tesa, sbotto' in commentacci verso l'altra meta' dell'aula, ivi compreso Daniele verso di me.
DA: "E stai fermo, porco giuda non muovere il banco!"
Io: "Io? Tu smettila di scuoterlo!"
E ci rendiamo conto in coro, avendo sollevato tutti le mani dai fogli protocollo, che i banchi della "I B" al quinto piano aula 55 stanno invece scuotendosi ancora di piu', finche' e' Sergio il primo a commentare: "Ragazzi il terremoto..."
E il professore a concludere: "Va bene, completate il compito, scappiamo piu' tardi..."
Ma siamo andati avanti.
Un mio compagno di classe, FR, in laboratorio di ottica per errore infilo' i contatti del proiettore a sei volt nella presa elettrica a 220 volt del bancone, anziche' passare dal trasformatore. Dopo una frazione di secondo in cui l'intero laboratorio si era illuminato a giorno, la lampadina aveva ceduto la sua vita con un colpo secco tipo petardo. Non fosse che oltre al colpo secco aveva proiettato minute schegge di vetro per tutto il laboratorio, e non fosse che quando FR aveva visto l'improvvisa luminosita' aveva iniziato un movimento con la mano che reggeva il proiettore che in pochi istanti gli avrebbe fatto prendere il gettito di vetri dritto in faccia.
Un altro compagno, ER, invece, in quel bel periodo che molti si davano al Soft-Air, nel cortile si becco' un pallino BB6 in faccia: gli si conficco' nel mento. Fu girata circolare a stigmatizzare l'evento, ma dentro il liceo le armi soft-air hanno continuato a girare ugualmente.
Un'amica di un'altra classe, invece, una mattina di dicembre si prese una scheggia di raudo sulla lente degli occhiali, non solo riuscendo a recuperare un danno non indifferente, ma solo per miracolo non trovandosi con vetro o cartone di petardo conficcato in un occhio. E quel giorno OC, un compagno, racconto' di quel tizio dell'IPSIA arrivato con lo ZIP al viale d'ingresso. Scende dalla moto, apre l'ampio bauletto e ne comincia ad estrarre manciate a piene mani di petardi, a compari che subito prelevano e provvedono al lancio in mezzo alle persone; oddio: questa scena la ho vista anche io un paio di volte. E a quindici anni ho assistito all'arrivo dell'auto della polizia (come avveniva spesso) e non appena questo sport del lancio di petardi in mezzo alla popolazione ha preso forma, ho assistito per la prima volta alla scenda di un agente di polizia che prende per un braccio il "lanciatore" e lo strattona in malo modo verso il collega, il quale con un solo movimento lo afferra per la camicia, lo piega in avanti e lo ammanetta, infilandolo quasi al volo dentro la "Uno".
E mi ricordo di quel giorno che entro' il bidello, e non appena usci' chiudendo la porta, quel poco di corrente d'aria generata fece partire ad una velocita' pressoche' infintesimale la finestra. Finestra che impiego' quasi un minuto a richiudersi, che si richiuse con un timidissimo "tloc", ma che nell'istante in cui fece quel "tloc" rese tutto il vetro in pezzetti dalla superficie compresa fra i due millimetri quadrati e i quindici centimetri per due, a punta affilata. Pezzetti che si abbatterono in terra fra le mie scarpe e la schiena di MC, mancandoci di pochi millimetri.
Sono stato uno di quelli che ha partecipato alle manifestazioni studentesche per una scuola piu' sicura, per avere le scale di fuga e le porte anti-incendio. Manifestazione cominciata con striscioni che peraltro recitavano, come forse giusto che fosse: "Niente politica all'Einaudi", ma con un corteo finito di fronte al Palazzo della Provincia di Siracusa (ai "villini" per intenderci) dove come funghi spuntarono tante belle bandierine di Rifondazione Comunista (ma quella non la digerii, e quella fu una figura barbina per Federico B, che era rappresentante d'istituto e al quale ebbi proprio l'onore, in assemblea, di sputtanare questa idiosincrasia che chi non voleva politica all'Einaudi lo faceva predicando sotto alle bandiere di RC. E meno male che io mi considero di sinistra, dico).
Ma mi ricordo tutto. Mi ricordo chi fu a scagliare il banco contro la parete di separazione fra la sezione B e la D sfondando il muro di foratini. Mi ricordo quando cominciarono i lavori per la realizzazione delle scale di fuga esterne, quando il muratore dava un semplice colpo di mazzuolo da 1kg alla parete esterna, e la stessa si sbriciolava per almeno tre metri quadri mostrando di essere di laterizi dieci fori anziche' in blocchetti "pieni" in arenaria o tufo.
Mi ricordo della professoressa che ci spiego' come molti sapevano che nell'intercapedine dei muri esterni si sentivano, nei pomeriggi di consiglio d'istituto, rumori vari soprattutto da scarafaggi e topi. Mi ricordo del preside che, dopo il terremoto del '90, spiegava che dal rapporto della prefettura l'istituto era risultato inagibile ed era rimasto chiuso quasi per tutto il mese di gennaio 1991, salvo divenire magicamente nuovamente agibile intorno a lunedi' 28 gennaio 1991. Ma cosa volete: incantesimi.
Infatti ogni volta che qualcuno di noi all'Einaudi diceva che l'edificio versava in condizioni disperate, gli "adulti" non ci prendevano mai sul serio. E sono sicuro che anche a Rivoli e' stato cosi', purtroppo.
E ora io mi chiedo: al di la' di quelli che dietro alle lamentele degli studenti avranno di certo girato la testa, piuttosto quelli che negli anni hanno deliberatamente ignorato le lamentele degli studenti del Liceo Darwin, dove sono scomparsi?
SCATACRESH!
Ops! Oh, la la! Ci siamo giocati Vito Scafidi. Eh si'... e' venuto giu' un controsoffitto di laterizi forati, ma d'altronde gli studenti l'avevano detto che l'edificio era un po' "sgarrupato".
Ah, davvero? Ma veramente? E se gli studenti, se i genitori, se l'ultimo povero cretino che passava di la' per caso l'aveva gia' detto che l'edificio ospitante il Liceo Darwin di Rivoli era sgarrupato, quelli che quando "l'avevano detto" si sono girati dall'altra parte, si sono tappati le orecchie o con buon fare da "adulti" (come avveniva ai miei tempi...) hanno tagliato corto l'argomento... che fine hanno fatto?
Perche' non vanno in piazza, non vanno dai ragazzi in ospedale, a dire *ADESSO* che non e' vero che l'edificio ha seri problemi strutturali?
Ah, gia', ma certo: c'e' scappato il morto, quindi e' vero che ci sono problemi strutturali nell'edificio.
Perche' siamo in Italia. Perche' porcaccia la miseriaccia zozza & lurida c'e' gente con ruoli di responsabilita' che per capire le cose o gli se le ficcano in testa dopo avergliela aperta a colpi di accetta, o prima qualcuno ci dovra' restare secco!
Poi: aaahhhhh! State tranquilli che _succederanno_ _miracoli_.
Sono state ordinate verifiche strutturali in tutte le scuole d'Italia. Ma VAFFANCULO! Adesso mi fate le verifiche strutturali? Ma nelle stanze dei bottoni ai vari ministeri preposti qualcuno ha mai sentito paroline magiche come, tanto per pronunciare un incantesimo a caso, Legge 626/96? No, dico: 626 del NOVANTASEI, porco ca%%o, DODICI ANNI FA, non ieri!
Carlo Azeglio Ciampi, quando era Presidente della Repubblica, il 3 novembre 2002 a San Giuliano di Puglia disse, parlando al funerale delle vittime del crollo della Scuola Elementare Francesco Jovine: "Non siamo stati capaci di proteggere i nostri bambini [...] Queste cose non devono accadere e questa dolorosa esperienza ci deve insegnare a comportarci per fare in modo che queste cose non accadano" (ricordo peraltro Gianfranco Funari, che in quell'occasione riferendosi ai ventisette bambini, disse: "Il paradiso non ci aveva fatto richiesta per nuovi Angeli: siamo stati *noi* a volerglieli mandare").
Ecco. A distanza di sei anni ancora non abbiamo imparato, e queste cose accadono. A distanza di sei anni possiamo dire tranquillamente: per un teen-ager italiano medio uscire la mattina per andare a scuola comporta la stessa tipologia di rischi che avrebbe a prendere una macchina del tempo ed entrare nella miniera di Bois du Cazier nel 1956.
Auspico che al prossimo rischio sulla falsariga di questo, Dio non voglia dovesse il personaggio responsabile preposto fare orecchie da mercante alle segnalazioni di rischio, qualcuno gli assesti un paio di sberloni ben calibrati; almeno se proprio ci deve scappare il ferito grave, l'eventuale ferimento della persona preposta a risolvere questo genere di problemi e' auspicabile per mettere urgenza, anziche' aspettare come sempre che qualcuno ci debba lasciare le penne.
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