venerdì 21 ottobre 2011

Terremoto: neanche noi vogliamo rischiare

Sono stato in piazza Duomo, a vedere l'incontro di presentazione di questa attività di protezione civile (denominata "Terremoto: io non rischio"). C'è stato persino il prefetto Gabrielli, attuale capo della protezione civile, assieme al sindaco, agli assessori, al capo del dipartimento regionale e a molti volontari, invitati dal dipartimento regionale ad assistere e a venire in uniforme (io ero in borghese, per la cronaca).
L'attività è stata programmata da mesi, ma adesso alcuni volontari mi dicono che fare un'attività del genere nel circondario di Siracusa quando da fine settembre si registrano scosse nella zona della provincia (particolarmente nel circondario di Canicattini Bagni, con scosse lievi e superficiali, ma avvertibili dalla popolazione e che hanno fatto evacuare scuole e altri edifici pubblici in questi giorni), potrebbe essere solo deleterio: un modo per gettare benzina sul fuoco del panico diffuso fra la popolazione.
Io faccio un'osservazione, pura e semplice.
Se la protezione civile non facesse mai nulla, cadrebbe di certo nel grave errore che ha portato agli errori dell'Abruzzo nel 2008-2009: a forza di dire "state tranquilli e tutti a casa" nessuno pensò manco a fare, chessò, un semplice elenco degli uomini e mezzi disponibili. Ne è venuto fuori un dramma.
Sono d'accordo nel dire che se si fanno attività legate a se stesse coinvolgendo marginalmente la popolazione, molti terroristi ne avranno ben donde di dire «Ecco! La protezione civile è in fermento, allora STA PER SUCCEDERE QUALCOSA!»
Quello che molti colleghi (in tal senso ne ho avuto un esempio in una edificante discussione su un post di facebook l'anno scorso, dopo uno strale ridicolo lanciato da un'associazione di volontari abruzzesi, che provocò un fermento esploso in quasi seicento commenti, prima che l'autore mettesse la coda fra le zampe e cancellasse tutto il post tout-court) e quello che quasi tutta la popolazione italiana dimentica, è semplice: il mondo non è bianco o nero, ma fatto di tante sfumature di grigio.
Una scossa tellurica non è prevedibile. No, questo è errato, ma parlando in termini scientifici. Vi spiego come funziona: avendo a disposizione il dovuto numero di strumenti piantati tutto intorno un punto che si vuole osservare, e un cluster di computer con capacità di calcolo assimilabili ai supercomputer della lista Top500, sarebbe in teoria possibile dopo aver registrato e analizzato un buon numero di scosse, determinare l'arrivo di un movimento sismico con un anticipo massimo (e bisogna essere fortunati) di poco meno di TRE SECONDI, determinando l'epicentro con un errore in un raggio di una decina di km (e la profondità dell'ipocentro più o meno con lo stesso possibile errore), e determinare l'intensità presunta di questa scossa prevista con uno scarto compreso fra il 90% ed il 100%, ossia se si suppone una magnitudo di 3,5 in quei tre secondi prima che arrivi la scossa, la stessa poi potrebbe avere una magnitudo compresa fra 2,1 e 5,5. Ah, dimenticavo: in condizioni ottimali ci sarebbero tre secondi, ma in condizioni reali parliamo tra l'altro di solo alcuni decimi di secondo di anticipo.

Contenti? Non è che un terremoto non sia prevedibile, magari si riesce ad avere il tempo di dire: «Ragazzi: sta per arrivare una scoBROAAAMMMMMMM!!!» (((-:
Scappare? No. Non si scappa durante la scossa. Mai. Durante la scossa l'importante è ripararsi: sotto un tavolo, sotto i banchi di scuola, sotto gli architravi: se siete all'aperto portandovi in mezzo alla strada, e se siete in aperta campagna potete stendervi per terra con un filo d'erba in bocca e aspettare che finisca: di certo non vi cascheranno dei calcinacci sulla testa se la casa più vicina sta a due chilometri!

Ma torniamo a noi. La prevedibilità dell'arrivo di una scossa tellurica è ristretta a un campo non superiore al paio di secondi. E con un paio di secondi non ci facciamo un bel niente, per cui diciamo per definizione che non è possibile sapere in anticipo se ci sarà una scossa di terremoto in un determinato luogo.
Di nuovo però delle previsioni (ma anche esse da prendere con il beneficio dell'inventario) sono fattibili: osservata per diversi anni (non due o tre, e manco una decina, parlo di un secolo o due) una zona e determinato che è "ad alto rischio sismico", di nuovo è possibile azzardare una previsione: che di qui ai prossimi due-trecento anni si possa verificare un fenomeno sismico più o meno simile che coinvolge un punto qualsiasi lungo la faglia. Ma qua i miei lettori mi risponderanno, giustamente "e grazie al ficus [o al cactus (-: ndG]: è per questo che si dice che una zona è 'a rischio sismico', mica per altro..."

Però c'è questo limite: la tecnologia attuale e, soprattutto, gli studi attuali ci permettono solo questo.
E allora cosa si fa? Ci se ne frega tutti quanti finché non viene il Big One, e poi si piangono le vittime? Oppure si evacuano le città ogni volta che una mucca molla una flatulenza vicino a un sismografo?


Quello che si dovrebbe fare, prendendo esempio da una terra come il Giappone, che veramente potrebbe usare le scosse sismiche come SEGNALE ORARIO ("Che ore sono?" BRAAAAARRRRM! "Era la scossa delle undici e venti!"), è una sacra cosa chiamata PREVENZIONE.
Le mie parole di poche righe fa: il mondo non è bianco o nero. Non possiamo sapere se e quando ci sarà un terremoto, ma possiamo sapere quali sono le zone a rischio sismico, e dato che notoriamente non abbiamo alcuna difesa contro gli interventi di Madre Natura, non ci resta che organizzarci e saperlo affrontare.
Qui in Italia se un'associazione di volontari di protezione civile riesce ad ottenere i permessi, le licenze e i beneplacet di tanti di quegli enti pubblici che a un certo punto sei sicuro che in mezzo agli incartamenti ci sia anche una richiesta in carta bollata al Papa, per organizzare un'esercitazione di evacuazione in una scuola pubblica, che cosa succede?
Per l'appunto quando un'associazione vuole organizzare questo tipo di attività (una prova generale di evacuazione di una scuola pubblica, cavoli, non una manifestazione di piazza con carri armati e lancio di missili terra-aria!) e decide di sopportare di andare a sbattere contro un muro di gomma di papelli burocratici non indifferenti, arriva un bel giorno che, davanti al sindaco, alle massime autorità e a quattro giornalisti; non diremo che ci sono buone probabilità che se non fosse per il coinvolgimento della stampa, l'associazione starebbe ancora passando carte su carte cancellando ettari di Amazzonia, perché tutti quanti siamo comunque ottimisti e pensiamo che l'iter comunque all'esercitazione ci debba portare. Comunque siamo qui.
Suona la sirena, le lezioni si interrompono, tutti i ragazzi si caracollano fuori in preda al panico (seee, come no?). Applausi, ringraziamenti: tutto è andato come previsto.
A questo punto arriva l'organizzatore che tanto ha faticato: "Direi che è andata bene. Ci vediamo il mese prossimo per ripeterla?"
"Ripeterla? MA NOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! MA L'ABBIAMO GIÀ FATTA, COSA VOGLIAMO RIPETERE????"

In Giappone le esercitazioni di evacuazione per terremoto non sono soltanto un'abitudine. Sono un obbligo di legge. Le aziende, le scuole, gli edifici pubblici, tutti quanti sono OBBLIGATI per legge a fare almeno un'esercitazione di fuga per terremoto una volta al mese. Obbligati, signori miei: come si suol dire "voce del verbo vi chiudiamo e vi facciamo una multa così pesante che finiranno di pagarla i vostri nipoti".
La legge permette di saltare l'esercitazione se e solo se il giorno che era prevista c'è stata per davvero una scossa di terremoto per cui l'edificio sia stato comunque evacuato.
In Giappone, che notoriamente si trova su un altro pianeta, rispetto all'Italia.
Qui si cerca di fare quel che si può, si opera per svolgere questo lavoro importante con i mezzi ristretti e le capacità economiche ristrette. La differenza sapete qual è? Semplice, anzi ovvia: che qui si fanno pochissime esercitazioni. In Giappone tutti hanno gli elmetti e il kit di sicurezza costantemente a portata di mano, qui se viene una scossa seria, vediamo gente che scappa in pigiama e pantofole.
Le esercitazioni, che coinvolgano soprattutto la popolazione (e non per dare spettacolo, ma coinvolgendo attivamente la gente), aiutano a costruire con la ripetizione costante, un fenomeno.
Quando c'è una scossa di terremoto, e parlo di una scossa forte, lunga, di una di quelle che in un ufficio postale fanno scuotere una cassaforte alta un metro e mezzo come se fosse un foglio di carta sballonzolato dal vento, succede una cosa: le persone si fanno prendere dal panico.
E quando sei nel panico, non riesci a capire che cosa stai facendo, cominci a fare delle cose meccaniche, a tratti stupide. Qui interviene la costanza nelle esercitazioni di evacuazione: sei talmente stufo e talmente abituato a fare quelle stramaledette procedure che potrebbero essere sempre uguali, che la tua mente quando entra nel pallone ti fa fare meccanicamente quelle cose che hai già fatto mille volte, ti fa ripetere la procedura che sai a memoria, perché in mezzo al panico non ti viene in mente nulla, e quella è l'unica cosa sensata che sai fare, ed è l'unica cosa sensata che ti garantisce di salvarti.

Detto questo, a futura memoria voglio ricordare a tutti come fare un minimo di prevenzione in casa. Queste sono regole dettate dal buon senso, che possono sembrare persino stupide, ma pare che siano ben pochi a metterle in pratica nella vita di tutti i giorni.
  • Tenete sotto il letto un paio di scarpe chiuse (scarpe da ginnastica, se siete in campagna scarponi da trekking, se siete muratori un vecchio paio di antinfortunistiche) in maniera che resti a portata di mano e non siate costretti a uscire in pantofole;
  • Tenete sempre pronto un borsone con abiti di emergenza: qualche camicia, qualche maglietta, qualche cambio di biancheria: fate in modo che sia adatto al clima stagionale (non servono sei maglioni ad agosto in Sicilia), ma anche se in estate tenete una felpa o qualcosa con cui ripararvi da eventuale temporale estivo o folate di vento non esattamente fresco;
  • Se prendete farmaci salvavita, tenete in camera da letto un beauty-case con una confezione di quei farmaci. Aggiungeteci qualche prodotto di automedicazione (dell'aspirina, cerotti, un disinfettante, un paio di bende);
  • Tenete a portata di mano una torcia, che sia sempre ben carica, funzionante e possibilmente che faccia più luce di un portachiavi con led...
  • Procuratevi e tenete sottomano una piccola radio portatile a pilette (le trovate in qualsiasi negozio di cineserie sottocasa, addirittura ce ne sono alcune che vanno "a manovella": si gira la manovella per dieci minuti e si ascolta la radio per un'oretta). Vero è che parecchi cellulari hanno anche la possibilità di ricevere la radio, ma penso che vi convenga conservare la carica della batteria del cellulare per telefonare (sempre se non si spegne la rete di telefonia mobile);
  • Tenete delle bottiglie d'acqua da mezzo litro a portata di mano, e tenete una tanica da cinque-dieci litri d'acqua (per lavarsi le mani, non da bere!) sempre in macchina;
Ma oltre a questo, ci sarebbe un'altra regola d'oro, che funziona poco: quando ci sono esercitazioni di protezione civile per ogni genere di simulazione d'emergenza: fatevi coinvolgere. La protezione civile fa attività di esercitazione non per dare spettacolo, ma per essere preparata a soccorrere la popolazione in caso di necessità e, soprattutto, per poter insegnare alla popolazione cosa fare in caso di emergenza: come comportarsi, che luoghi raggiungere, come chiedere aiuto, etc.
E non pensate che quando c'è un'esercitazione, avviene perché si aspetta qualcosa: il massimo che ci si può aspettare è il maltempo, ma quando c'è l'allerta meteo, non c'è il tempo di mettersi a giocare con le esercitazioni...

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