sabato 29 maggio 2010

Un anno dall'incendio della Florio. Un'esperienza edificante

13 commenti - [Leggi tutto]
[Nota: se volete dire la vostra, scorrete in fondo al messaggio e clickate su "Invia commento"]
AGGIORNAMENTO 1 giugno 2010 - Volete raggiungere rapidamente questa pagina? Facile! www.incendioflorio.org
AGGIORNAMENTO 10 giugno 2010 - Un ringraziamento all'amica, collega ed europarlamentare On. Sonia Alfano per avermi citato nel suo blog.
AGGIORNAMENTO 2 luglio 2010 - Leggete in fondo all'articolo gli ultimi aggiornamenti

Voglio raccontarvi una storia. Una storia che comincia esattamente un anno fa. La notte fra il 28 e il 29 maggio 2009, intorno alle tre del mattino.
Una storia che coinvolge alcuni colleghi dell'associazione, volontari di protezione civile. Una storia che, solo per un caso fortuito, non ha coinvolto anche me.
Voglio cominciare con quattro parole. Quattro parole che formano una frase densa di significati, una frase che metto all'inizio di quest'articolo, in caratteri cubitali:
io sono un miracolato
Perché quel 20 maggio ero partito anche io, con Maurizio, con Nuccia, con la squadra che ha fatto servizio in cucina a Palombaia di Tornimparte (AQ), nel campo di accoglienza della protezione civile gestito dalla Regione Sicilia.
Perché io dovevo rientrare assieme a quella squadra, e non solo dovevo essere a bordo di quel traghetto quel tragico giorno, ma addirittura io sono stato a bordo della stessa motonave solo due giorni prima, per un disguido logistico. E la squadra la voglio anche citare, in Abruzzo eravamo: io, Maurizio Rubino, Nuccia Caraffa, Santina Limpido, Gianfranco Napolitano, Maria Guglia, Caterina Russo, Francesco Rizza, Jano Alota e la moglie Cettina Silvestri, Maria Ponaro.
Quando partii io, due giorni prima degli altri, Maria Ponaro si scorporò dal campo assieme a me, e successivamente la squadra partì tutta con l'eccezione di Francesco Rizza, che rimase disponibile anche durante il turno successivo.
Ma cominciamo questo racconto dall'inizio, da quel 12 maggio in cui io e Maurizio ci stavamo organizzando per partire e tornare al campo, in un turno di una settimana-dieci giorni. Da quando appurammo che la squadra nella sua interezza sarebbe potuta partire sabato 16 maggio. La squadra, eccetto me, Maurizio e Nuccia. Tutti e tre avevamo delle complicazioni da attuare necessariamente domenica 17, e quel 12 maggio mentre ero a casa di Maurizio e cercavamo una soluzione, dissi la prima cosa che mi venne in mente.
Io: "Maurizio, scusa. Qual'è il problema? Un mezzo per salire in Abruzzo? Io sono disposto a metterci la mia macchina, purché il dipartimento regionale ci metta almeno il carburante. Partiamo in macchina, Palermo, nave, autostrada e, se partiamo lunedì mattina, per martedì a ora di pranzo (tanto siamo fuori colonna) siamo a Tornimparte. O sbaglio?"
Non mi sbagliavo. Perché il dipartimento metteva a disposizione carburante e biglietto navale per i mezzi "in uso" alle associazioni di protezione civile che si spostavano verso la regione Abruzzo in colonna mobile, e dato che non stavamo andando a farci una vacanza, potevo tranquillamente mettere a disposizione anche la mia auto privata per salire al campo. Come d'altronde avevano fatto il cuoco Jano e la moglie, saliti con il camper personale.
Perché? Mi pare ovvio: perché la cosa importante era poter arrivare in Abruzzo, era poter fare il nostro lavoro di volontari impegnati in cucina: immagazzinare, stoccare, preparare e cucinare per tutta la gente che si è trovata improvvisamente con una tenda come tetto, o semplicemente con il metano ben rinchiuso in tutta la regione (a fine maggio solo molto lentamente si stava procedendo alla riapertura della rete, previe verifiche certosine e molto attente, e d'altronde per vedere se la rete non ha subito danni mica si può aprire il gas e vedere cosa salta in aria per trovare le perdite). Perché un volontario si muove per questo: si muove per portare una luce di aiuto dove è necessario.
Lasciando la famiglia, lasciando il lavoro. Gratuitamente: il solo salario del volontario è la soddisfazione di aver potuto fare qualcosa di più utile che mettersi a discutere al bar di una terribile catastrofe.
Ma non solo gratuitamente, anche rimettendoci di suo. Abbiamo comprato calzini, abbiamo comprato le nostre uniformi (perché l'Associazione ci ha chiesto di investire dei nostri soldi anche per questo), abbiamo comprato parte dell'attrezzatura che abbiamo portato in Abruzzo, abbiamo ricaricato i nostri telefoni cellulari per potersi sentire con la famiglia (lasciata a casa).
Lunedì 25 maggio. Mattina, saranno state le dieci: tornavamo dal bar subito fuori il campo. Una pausa caffè veloce [mia frase dell'occasione: "Dopo aver preparato *io* settecento caffè, adesso qualcuno prepara un caffè *a* *me*?" (-; ]. Suona il mio cellulare. È un collega, uno degli altri fornitori che sta lavorando a quel faraonico progetto europeo per il cliente.
Io: "Pronto, dimmi $collega"
CL: "Ehm, Grizzly, ha chiamato $Cliente, l'ispezione che prevedevamo verso l'otto di giugno, a causa dei casini del terremoto è stata anticipata. Il 28 mattina alle nove dobbiamo essere tutti lì."
Io: "IL VENTOTTO MATTINA? Ma porco qui e porco là, io sono in Abruzzo, forse partiamo il ventinove per tornare in Sicilia, come facciamo? Non posso mandare un sostituto?"
CL: "L'ispettore ha detto che tutti i fornitori dovranno essere necessariamente presenti, perché altrimenti l'ispezione salta, e con essa il finanziamento europeo, e $Cliente penso che ci viene a cercare con la lupara..."

Morale della favola, parlo con Maurizio, con il coordinatore del campo e mi organizzo per partire il 26 mattina, con due giorni d'anticipo rispetto al resto della squadra. La cosa buona è, appunto, che ho la mia macchina a portata di mano, per cui sono relativamente indipendente.
E il campo va avanti fino al 25 notte, quando dopocena mi organizzo per partire con Maria [una collega che vuole approfittare per scendere un paio di giorni prima, anche perché tecnicamente non c'è posto sul pulmino visto che rimangono in dieci persone, col pulmino da nove posti (in realtà sono Jano e la moglie Concetta sul camper, sul pulmino restano Maurizio, Gianfranco, Santina, Caterina e Nuccia; ci sarebbe anche Francesco, ma rimane un altro turno: non avevamo fatto correttamente i conti)].
Partiamo il 26 verso le due del pomeriggio, viaggiamo fino a Napoli io e Maria, prendiamo il traghetto per Palermo (il "Vincenzo Florio" della Tirrenia), poi attracchiamo a Palermo e continuiamo la strada fino a Siracusa, dove arrivo il 27 a ora di pranzo circa. Mangio, poi mi butto sul letto con tutte le ossa doloranti. Cena, preparazione degli incartamenti per l'indomani, e passa un altro giorno. Ma questo per ora non ci interessa molto.
Mattina di giovedì 28 maggio, Priolo Gargallo, zona industriale. Siamo dodici fornitori, il cliente, e questo benedetto ispettore della Comunità Europea che parla con forte inflessione dialettale dell'area laziale.
Isp: "Ce semo tutti? Tutti me confermate tutto quanto? Bene! Girateve 'sta cartelletta e mettete una firma accanto al vostro nome"
Trenta secondi dopo, circa...
Isp: "Ok, hamo finito, se nun c'avete fretta, prima di annà via $Cliente voleva offrì a tutti il caffè della macchinetta automatica"
Guardo con astio l'ispettore, e prendo la parola guardato di sghimbescio da metà dei fornitori e dal cliente:

Io: "No, aspetti. Mi faccia capire. Fatemi capire tutti quanti: mi avete fatto lasciare il campo della protezione civile di Tornimparte, vicino L'Aquila, in Abruzzo, e scendere di corsa PERCHÉ VOLEVATE UNA SEMPLICE FIRMA? Ma state scherzando?"

Il cliente e tutti i fornitori cambiano espressione e mi guardano come se all'improvviso mi fossi trasformato in una scultura di arte contemporanea; l'ispettore apre la bocca facendosi cadere la mascella in terra, prima diventa rosso come un peperoncino calabrese, poi passa direttamente al bianco lavato con Dash che più bianco non si può, e balbettando in evidente imbarazzo mi dice:

Isp: "Ma... come? Ma lei era... in Abruzzo? Ma perché non me l'avete fatto sapere prima? Ma sta scherzando? Ma... come sò sceso io da Viterbo pe 'st'ispezione... ma avrei mannato un collega de Pescara lì al campo per farle mettere la firma! Ma scusi, non poteva fallo sapé prima?"

Io: "Prima? Prima quando? Tutti sapevano che ero in Abruzzo con la protezione civile, dato che peraltro ci sono già stato proprio la settimana dopo il terremoto! E lo sapeva anche $fornitore qui presente, che mi ha telefonato mentre ero su proprio per dirmi che dovevo essere presente di persona, su *sua* (indico a tutti l'ispettore) espressa richiesta!"

Isp: "Ma... ma... m'avevano detto che lei era fuori sede, io pensavo che lei fosse in vacanza(*)... ero rimasto senza benzina... avevo una gomma a terra, non avevo i soldi per prendere il taxi, la tintoria non mi aveva portato il tight, c'era il funerale di mia madre, era crollata la casa, c'è stato un... terremoto! Una tremenda inondazione! Le cavallette. Non è stata colpa mia: lo giuro su Dio!"
(*) No, non credo che la parte successiva sia andata avanti così, ma quando ho sentito la locuzione "pensavo che lei fosse in vacanza" devo dire che ho passato diversi momenti chiedendomi se dovevo rispondergli o disconnettere il cervello e annuire, durante i quali non sono proprio rimasto ad ascoltare.

Io: "In vacanza? A maggio e con il karaoke che è successo in Abruzzo? Ma se mi guardo bene intorno ci sono le telecamere di candid-camera, per caso?"

L'argomento della discussione devia quindi sul terremoto in Abruzzo, sul campo della protezione civile e su quanto possiate immaginare, ma a noi non interessa, questo è riempitivo, per arrivare finalmente al pomeriggio di giovedì 28, quando la squadra rimasta in Abruzzo senza di me, si appresta a partire per tornare a Siracusa.
Telefono a Maurizio, quel pomeriggio, per sapere se sono partiti tutti e come stanno andando le cose: tutto sembra a posto e la strada corre serena verso Napoli, e verso la stessa nave che avevo già preso un paio di giorni prima. Il viaggio di ritorno della squadra è cominciato, un viaggio che sarà molto più lungo del previsto, sebbene ancora tutti quanti noi ignoriamo quello che riserverà.

Arriviamo quindi alla mattina di venerdì 29 maggio 2009, mi alzo intorno alle 5:20, e vado a lavarmi i denti e fare la doccia.
Poi si fanno le 5:45 abbastanza in punto, quando esco dal bagno in accappatoio e accendo la tv perché allo scoccare dell'ora c'è il telegiornale nazionale, giusto da ascoltare per qualche minuto prima di tornare di là in camera a vestirmi.
Et voilà! Sono lì, in accappatoio, davanti alla televisione, edizione speciale dell'alba, con il sangue congelato nelle vene: il TG si apre IMMEDIATAMENTE con la notizia dell'evacuazione della motonave Vincenzo Florio in rotta da Napoli a Palermo a causa di un incendio durante la notte.
Dopo qualche istante di vivo stupore, vado in camera e, mentre mi vesto, tartasso il telefonino di servizio cercando di contattare i colleghi. In rubrica ho i numeri dei cellulari di Maurizio e Gianfranco, ma entrambi i telefonini non prendono (d'altronde sono stati trasferiti su un altro traghetto della SNAV che ha incrociato la stessa rotta, ma sono ancora troppo al largo: non c'è campo).
Intorno alle sei e mezzo del mattino provo a chiamare Nuccio, su a Tornimparte (ha dato il cambio alla squadra il giorno prima). Purtroppo Nuccio non ha nessuna notizia specifica (anzi, praticamente sono io quello che lo informa del casino successo a bordo della nave e del fatto che i ragazzi, a causa dell'incendio, devono ancora rientrare a Palermo). Discutiamo qualche istante, poi Nuccio mi invita a contattare subito Giovanni (il presidente) senza farmi remore per l'orario (sono appunto circa le sei e mezzo di mattina, ma tanto il presidente lavora in cantiere e comincia già alle cinque di mattina), e così faccio.
Nel corso della giornata tento ancora di contattare qualcuno, e verso le nove e mezza riesco a raggiungere telefonicamente Gianfranco. La situazione è brutta, ma non quanto ci si possa aspettare (non ci sono feriti, solo tanto spavento), ma sono ancora al largo e non hanno neppure idea di come fare a tornare a Siracusa, dato che il pulmino e il camper di Jano sono rimasti sul "Florio".
Le immagini del telegiornale mostrano il porto di Palermo che è un lampante esempio del funzionamento della macchina della protezione civile: ci sono diversi stand, uno stuolo di ambulanze che aspetta i passeggeri e ogni volta che ne esce una, viene scortata da due moto della polizia.
Una macchina mossa in parte proprio grazie a noi. Perché doveva arrivare alle sei di mattina la nostra squadra, e due funzionari del dipartimento regionale (il dott. Sebastiano Lio e l'ing. Foti) erano al porto in attesa per far fare nafta ai nostri mezzi. L'ingegner Foti ha notato il movimento dei portuali e si è insospettito, e appena ricevuta la notizia (alle cinque di mattina o poco prima) è riuscito a mettersi in contatto con Maurizio, e quindi ha tirato giù dal letto metà del dipartimento e delle associazioni di volontariato di Palermo, organizzando un campo di accoglienza nel giro di meno di un paio d'ore.
Quando arriva la nave è presente anche Salvo Cocina, all'epoca direttore del dipartimento regionale di protezione civile; Maurizio e Santina vengono rapidamente intervistati dalle tv nazionali (appaiono al TG1/2, in parte anche al TG5, una breve intervista anche su SkyTG24), poi finalmente riesco a ricontattare Maurizio e gli chiedo se hanno notizie su come tornare a Siracusa. Lo informo che ci metto poco a partire in macchina assieme a Guido (un collega che ho già sentito in prima mattina) per venirli a prendere tutti, ma mi dice che forse saranno accompagnati direttamente dal personale del dipartimento (e infatti verso le 18:30 arrivano a Siracusa a bordo di un pulmino messo a disposizione dal dipartimento stesso).
Spezzone di una delle interviste:


In serata quindi, fondamentalmente quando Maurizio mi fa sapere che sono ormai quasi alle porte di Siracusa (e che due colleghi hanno urgente bisogno di un caricabatteria per il cellulare, essendo andato quello originario "in fumo") raggiungo la sede.
E poi accompagno infine Maurizio a casa, dove il povero collega stanco, stremato e consumato è anche costretto (piacevolmente) a rispondere alle decine di telefonate non solo dei parenti, ma anche degli AMICI ABRUZZESI, a cominciare da Luigi e Fabrizio, carabinieri di Tornimparte, Daniele e altri della popolazione, persino il nostro fornitore alimentare Alfonso.
Tutti. Tutti quelli che riuscite a immaginare.
No, non proprio tutti quelli che riuscite a immaginare.
Perché dopo tutto questo, quello che ci saremmo aspettati, era almeno un "grazie".
No, non un grazie da parte della popolazione abruzzese, che non aveva alcun bisogno di farlo (sebbene ogni giorno, quando distribuivamo i pasti, ci si prendeva un "grazie" da ogni cittadino. Ogni giorno da settecento abruzzesi prendevamo settecento grazie tre volte al giorno, mentre dagli altri volontari solo lamentele degne di turisti in vacanza...).
No, ci saremmo aspettati tutti quanti un grazie da chi in Italia, in regione Sicilia o almeno a Siracusa muove la protezione civile. Ci saremmo aspettati che la protezione civile non fosse solo una macchina organizzata per incensare la sua stessa figura.
Ma ci siamo sbagliati. Di grosso.
Come dicevo, tutti hanno telefonato a Maurizio. O al presidente, Giovanni.
Tutti, con una piccola eccezione. Piccola ma che non passa assolutamente sottobanco, specie dopo che la notizia dell'incendio, e del coinvolgimento dei volontari di Siracusa che erano a bordo di ritorno dall'Abruzzo era nota praticamente in ogni remoto recesso italiano.
Perché quel giorno, ma neppure il giorno dopo, e neppure quello a seguire, nessuno dei volontari è stato contattato dal Comune di Siracusa. Tutta Italia ha chiesto notizie dei volontari coinvolti nell'incendio. Il sindaco di Siracusa Roberto Visentin, no. Il vicesindaco, il prefetto? No, neppure. L'assessorato di protezione civile? No, neppure. Qualche assessore? Qualche consigliere? Qualcuno di quei politicanti che è sempre stato pronto a venire a dire che era presente pure se non eravamo sotto campagna elettorale perché ci tiene a noi volontari? No. Neppure quello. In veste di amici (e non in quella istituzionale) si sono fatti sentire, con Maurizio, solo Roberto Tarantello (dell'ufficio comunale di protezione civile) e Pippo Barbagallo (assessore alla protezione civile della provincia regionale) ma, come ripeto, solo come amici. Unica figura istituzionale, e anche amico che si è fatto sentire con Maurizio è stato Vincenzo Vinciullo (consigliere regionale, ex assessore alla protezione civile del comune di Siracusa).
Pur avendo fatto girare la voce anche loro nei rispettivi entourage, nessuno ugualmente si è fatto sentire. Dopo diversi giorni in cui Maurizio e altri avevano lamentato proprio questa palese assenza, qualcuno si è fatto sentire, giusto per scusarsi in quanto "non ero a conoscenza dell'incendio", che come scusa mi pare più che discutibile, visto che - come ripeto - praticamente tutta Italia ne aveva sentito parlare. Dobbiamo crederci? O dobbiamo invece renderci conto che nessuna delle persone che avrebbe dovuto avere i volontari inviati in Abruzzo a cuore non voglio dire come familiari ma quasi, ha mostrato il minimo interesse ai fatti.
Ma, come dicevo, è passato un anno. Un anno intero: dodici mesi, 365 giorni. Che cosa si è mosso in un anno? Che risultati abbiamo ottenuto?
Solo dopo molto tempo è stato possibile accertarsi delle effettive condizioni dei mezzi parcheggiati nella stiva-garage. L'incendio a bordo della nave fu possibile stabilizzarlo praticamente dopo un paio di giorni (bruciava il garage, ovviamente pieno di mezzi, carichi di benzina e nafta).
A seguito dell'incendio venne avviata una ovvia indagine, con il relativo sequestro della nave e di tutto ciò che era rimasto a bordo. Solo dopo alcuni mesi, appunto, è stato possibile salire a bordo della nave (con specifica bardatura di sicurezza, tute, maschere, casco e compagnia briscola) e una delegazione composta da Jano, Maurizio, il nostro perito Di Grande e Pippo Maniscalco, incaricato dal dipartimento regionale di protezione civile, assieme al responsabile della SIDERMETAL (ditta incaricata dalla Tirrenia), è stata autorizzata a salire a bordo per ed accertarsi delle condizioni realizzatesi e periziare i mezzi.
L'inchiesta, ancora in corso, è risultata nell'iscrizione nel registro degli indagati di quattro persone, ma in compenso nel frattempo i nostri mezzi sono stati dissequestrati, perché è stato determinato il loro mancato coinvolgimento come causa attiva nell'incendio; poiché l'inchiesta non si è ancora chiusa, e i processi sono in corso, questo lato non voglio approfondirlo ulteriormente, almeno per il momento.
Viste le condizioni dei mezzi stessi, si è autorizzata direttamente la loro rottamazione.
Prima di continuare, vorrei offrire alla pubblica visione le fotografie dello stato in cui versavano i due mezzi (il pulmino dell'Associazione e il camper personale di Jano) a seguito dell'incendio, sviluppatosi proprio vicino ad essi. Clickate sulle foto per visualizzarle in buona risoluzione.

Pulmino Ford Tourneo in forza all'Associazione
vista frontale del pulmino
quello che resta della console di guida
 la fila centrale di sedili
 il retro del pulmino
il baule posteriore
et voilà: quello che è rimasto dei bagagli e dell'attrezzatura 

Camper LAIKA del cuoco, Jano
fiancata lato passeggero
fiancata lato guidatore
lato posteriore
 quel che resta dello scooter di cortesia
 la console di guida
 le condizioni disastrose dell'interno

E andiamo quindi ad analizzare quali intoppi burocratici vanno superati o sono a nostro favore. Anzitutto: le assicurazioni sono autorizzate ad agire solo alla chiusura dell'inchiesta, e sino ad allora, come si dice qua a Siracusa, possiamo solo "stuiarci u mussu" (pulirci la faccia) con gli incartamenti. Ma poi abbiamo un paio di normative che ci vengono incontro, oltre all'assicurazione. Riguardano non solo la perdita dei mezzi veri e propri, ma anche la perdita di attrezzature (bagagli, computer portatili, macchine fotografiche, una videocamera con DUE SETTIMANE DI VITA, cambi di biancheria varia e via discorrendo).
La prima, e più importante, è la legge a tutela e gestione dei volontari di protezione civile, ossia il D.L. 194/2001 (la cosiddetta "194")
La 194 dice tante cose che riguardano i volontari di protezione civile durante un'emergenza, fra cui una cosa interessante: articolo 10, comma 3:
3. Possono essere ammessi a rimborso, anche parziale, sulla base di idonea documentazione giustificativa (fatture, denunce alle autorità di pubblica sicurezza, certificazioni pubbliche ecc.), gli oneri derivanti da:
a) reintegro di attrezzature e mezzi perduti o danneggiati nello svolgimento di attività autorizzate con esclusione dei casi di dolo o colpa grave;
Inoltre recentemente (pochi giorni fa) si è aggiunto un altro punto a favore, ossia l'ordinanza 3877 del 12 maggio 2010 a firma del commissario per la ricostruzione. All'articolo nove, infatti, questa ordinanza recita:
1. Dopo il comma 1 dell'articolo 13 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3797 del 30 luglio 2009 (risarcimento dei danni agli stabili lesionati dal terremoto) è aggiunto il seguente comma: [le evidenziazioni sono mie, ndG] "2. Il rimborso di cui al comma 1 è riconosciuto anche ai soggetti debitamente autorizzati impiegati nelle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite dagli eventi sismici, i cui beni siano stati distrutti o danneggiati per situazioni riconducibili all'avvenuto impiego nelle aree interessate dagli eventi sismici, tenuto conto degli eventuali concorrenti indennizzi assicurativi"
Questi riferimenti normativi riguardano tutto quello che può succedere a un volontario di protezione civile durante lo svolgimento del servizio di emergenza. Perché naturalmente la figura del volontario di protezione civile è complessa, ma non quanto possa sembrare: un volontario è come un dipendente del dipartimento di protezione civile (che però non prende stipendio).
Così come per un normale lavoratore dipendente è prevista la copertura assicurativa INAIL (la quale copre il dipendente non solo durante lo svolgimento del lavoro, ma anche nel tragitto di partenza e arrivo per recarsi sul posto di lavoro), anche noi volontari dovremmo essere assicurati in caso di incidente, ferimento o qualsiasi problema legato appunto allo svolgimento di un servizio di emergenza. Il condizionale è d'obbligo, perché in questo incendio quello che è andato bene a tutti quanti è proprio il non aver riportato alcuna ferita, in quanto tutti noi, visto come è passato questo anno, ci stiamo chiedendo (e penso che dopo aver letto questo articolo, anche molti di voi se lo chiederanno) che cosa sarebbe cambiato se qualcuno fosse rimasto ferito, nell'incendio.

Denuncia all'autorità, le fatture, le perizie e tutto quello che è stato previsto dalla normativa o richiestoci espressamente dai vari uffici legali del dipartimento e della regione è stato puntualmente prodotto. Ciò nonostante, il primo muro di gomma contro cui ci siamo scontrati è stato quello di vedere la pratica arenarsi costantemente. Manca la firma di tizio, manca la perizia, se potete mandarcela per fax. Non è arrivata la copia della denuncia perché se la sono scordata in quell'altro ufficio e non vorremmo che fosse andata persa, potreste mandarcene un'altra copia?
La persona, che più di ogni altra ci ha messo la faccia, le spese telefoniche, l'avvocato personale e buona parte della salute, è Jano.
Jano Alota è il nostro cuoco, è un volontario, come tutti noi, ed è anche un pensionato rimasto solo con la passione del camper; Jano ha visto i suoi sogni distrutti, andati a sbattere contro il muro della burocrazia, dello scaricabarile e della evidente impressione che il dipartimento di protezione civile ci abbia abbandonati definitivamente a noi stessi.
È passato un anno. Un anno di telefonate, di fax, di raccomandate, di perizie, di viaggi a Palermo. Un anno intero, durante il quale Jano (e a tratti anche Maurizio, talvolta anche qualcuno degli altri volontari coinvolti) ha sempre telefonato a metà del dipartimento regionale o nazionale per avere notizie dello svolgimento della pratica. Jano, perché nessuno dell'associazione si è mai degnato di mettere una buona parola lui stesso, e perché viceversa praticamente nessuno del dipartimento di protezione civile si è mai posto il dubbio, trovandosi le pratiche davanti al naso, di dire "Ehi, ma 'sti poveri ragazzi tutto questo casino hanno dovuto passare? Aspetta che gli faccio un colpo di telefono".

E l'associazione? "Beh, tanto c'è Jano che si sta occupando della cosa, e i nostri amici del dipartimento stanno portando avanti la pratica..."
Portando avanti?
Vediamo. Come ho detto tutti gli incartamenti necessari sono stati prodotti puntualmente, e la quantità di carte necessarie è anche cresciuta nel tempo, con la pratica che continuava ad arenarsi per la mancanza di questo o quell'altro documento. E queste informazioni sull'effettivo stato della pratica Jano le otteneva non parlando "con il dipartimento", bensì "con gli amici al dipartimento", dato che - come ho già detto - l'ufficio legale del dipartimento più volte se n'è (virtualmente) lavato le mani per lasciare tutto in mano alla Tirrenia.
Un anno, e il tempo si dimostra, come spesso avviene nelle cose italiane, un'arma a doppio taglio: mano a mano che le pratiche vanno avanti a seguito del dissequestro, quella che si va delineando è una situazione che assume delle tinte a dir poco grottesche.
A distanza di quasi un anno, che cosa succede?
"Ovvio: succede che le assicurazioni coinvolte (la nostra e quella della Tirrenia) si accordano e provvedono al pagamento dei danni ai mezzi, mentre il dipartimento di protezione civile, viste le normative esistenti, fornendo la massima collaborazione si prodiga per rimborsare attrezzature e beni andati distrutti", diranno subito tutti i miei lettori, così come mi hanno anche detto personalmente molti amici a cui ho raccontato di questa storia dalle tinte quasi kafkiane.
Ebbene, miei buoni amici, in una parola: no.

Infatti come dicevo è trascorso un anno esatto dall'incendio; Jano ha perso il camper, l'associazione ha perso il pulmino e parte dell'attrezzatura, i volontari hanno perso tutto il materiale che avevano portato con loro (ivi compresa biancheria, uniformi, scarpe, occhiali e chi più ne ha più ne metta). E in tutto questo tempo la persona che più si è prodigata per cercare di capire a che punto fossero arenati gli incartamenti è stato Jano, e solo Jano. Un anno in cui nessuna persona del dipartimento regionale o nazionale, e neppure della stessa associazione, ha saputo dire con chiarezza quali fossero le probabilità o almeno le speranze di vedere risarciti i danni subiti.
All'ennesimo diniego dell'ufficio legale della protezione civile che Jano incassa "Noi non dobbiamo risarcire nulla, dovete rivolgervi al vettore", lo stesso fa notare l'esistenza di una serie di normative che invece dice l'esatto opposto. Risposta dell'ufficio legale: "Vedremo, ma le ripetiamo che noi non possiamo fare nulla".
Nel frattempo una novità, di non molto tempo fa. L'assicurazione della Tirrenia può risarcire le cifre stabilite dal codice della navigazione, così come era stato concepito praticamente nella prima metà del secolo scorso. Si propone di pagare € 103,29 per ogni metro quadrato di spazio occupato dal veicolo, per i veicoli, ed € 6,22 per ogni kg di bagaglio, con un limite di 22kg. Jano a questo punto, molto più di altri volontari è sconfortato. Abbastanza sconfortato per come le cose debbano essere sempre gestite grazie all'amicizia, che decide di tentare l'ultima strada, prima di mandare a quel paese la protezione civile e intentare una causa.
La strada che tenta Jano è semplice. Prende tutte le informazioni che vi ho appena riportato, i riferimenti alla pratica, e gira tutto quanto per e-mail a Guido Bertolaso in persona.
Ma non basta. A Bertolaso Jano parla del suo sconforto. Perché Jano si chiede (e lo ha anche chiesto a tutti noi) perché la legge 194 è stata usata solo per gettare fumo negli occhi dei volontari; si chiede se lo scaricabarile è il comportamento standard dell'ufficio legale della protezione civile, e quindi in virtù di questo comportamento, si chiede da chi dovrebbero essere tutelati i volontari: siamo andati in Abruzzo con spirito di abnegazione, con l'intenzione di dare una seria mano di aiuto nell'emergenza (e riteniamo a buona ragione di esserci riusciti), ma a quanto pare qualcuno nelle alte sfere si è fatto l'idea che noi volontari in Abruzzo ci siamo andati per fare una bella vacanza pagata dallo stato.
Come ripeto, perché non mi stancherò di ripeterlo, nonostante tutto, questo articolo esce a un anno esatto da quell'incendio. Un anno, durante il quale ci siamo sentiti lasciati all'abbandono dalle istituzioni, dal dipartimento, dalla protezione civile in genere. Lasciati a noi stessi, come se i nostri problemi fossero una piccola e invisibile macchia sullo splendido e appena lavato/stirato tessuto della protezione civile italiana. Chi se ne frega dei vostri beni, delle vostre cose, dei vostri mezzi: per noi l'importante è aver fatto bella figura davanti a tutto il mondo e se per caso qualcosa non ha funzionato in toto, nooooooooo, è solo una cazzatina: un mucchietto di polvere che adesso con la scopa infiliamo sotto il tappeto. Voilà: non c'è più nessun problema, e chi se ne frega dei nostri volontari.

Un anno. Di telefonate agli amici e di risposte nulle dalle istituzioni. E dopo un anno, forse, finalmente la luce. Perché Bertolaso riceve l'e-mail di Jano, e si indigna.
Perché Bertolaso, come noi volontari, crede nella protezione civile. Crede nella figura dei volontari ma, soprattutto, crede che i volontari non siano mai abbandonati a se stessi. Ma non si indigna solamente (perché le parole di indignazione sono facili: chissà quanti commenti indignati riceverà anche questo articolo. Sempre se molti non avranno semplicemente niente da dire, perché queste sono quelle cose che ti lasciano palesemente senza parole), no, non si indigna solamente. Per fortuna smuove le acque, e richiama all'ordine i suoi uffici periferici. È Bertolaso quello che conferma a Jano le normative esistenti, ed è lui quello che si prende a cuore la pratica, che arranca per gli uffici del dipartimento della protezione civile da un anno.
Finalmente forse vedremo la luce. Finalmente forse questo farà vedere la luce a chissà quante altre piccole e grandi storie che sono finite sotto il tappeto, come la nostra.
Ma forse di nuovo la burocrazia italiana riuscirà ugualmente a far sprofondare il risarcimento dei danni. Forse ci vorrà un altro anno prima di vedere questi soldi rientrare. Forse no. Voi che ne dite?
Io chiudo questo articolo con una domanda. Io sono un volontario di protezione civile, come Jano, come Maurizio, come Santina, come Caterina, come migliaia di persone in tutta Italia. E come migliaia di persone in tutta Italia, in tutto il mondo, sono sempre pronto a lasciare famiglia e lavoro per partire e andare a portare una mano di aiuto, o un semplice sorriso, dove ci sono persone (come me, come te, come tutti voi) che all'improvviso hanno perso tutto. Ma da oggi io mi chiedo, sinceramente: le vittime di una calamità in qualche modo sono tutelate, ma noi? Noi volontari da chi siamo tutelati? Se Jano o Maurizio non avessero avuto amici nel dipartimento, come sarebbero andate le cose? Se domani dovesse succedere qualcosa a me, che di amici al dipartimento ne ho ben pochi? Quali sicurezze abbiamo se domani dovessimo andare a soccorrere delle persone e qualcuno di noi si facesse seriamente del male? Quali sicurezze, quali assicurazioni, quali tutele legali e assicurative sono garantite a noi volontari? Quelle delle norme su cui gli uffici legali dipartimentali hanno bellamente sputato? Noi volontari saremo abbandonati nuovamente a noi stessi in caso di necessità? Saremo di nuovo costretti a seguire vie traverse per far scorrere la burocrazia? O se mai ci dovesse essere una "prossima volta", toccherà magari sbattere la testa con qualche "ingranaggio da ungere"? Le cose saranno semplificate in futuro, oppure c'è qualche intenzione di rendere queste strutture più simili a una cosca mafiosa che ad un ufficio, un ministero, un dipartimento che funziona?
Queste non sono domande retoriche. Se qualcuno ha una risposta, vi prego, datemela, datecela a tutti quanti, perché attualmente dobbiamo dare all'avanzamento della pratica tutti i meriti a Guido Bertolaso, che si è indignato come voi che leggete questo articolo. Ma se ci fosse stato qualcun altro alla guida della protezione civile, se ci fosse stato qualcuno con la stessa mentalità da muro di gomma contro cui hanno sbattuto Jano e Maurizio, probabilmente questa pratica si sarebbe arenata definitivamente, in attesa di andare prescritta.
Noi volontari non vogliamo sentirci abbandonati.

AGGIORNAMENTO 1 luglio 2010
Siamo al primo luglio. Questo significa che è passato un anno, ma anche un altro mese. Notizie? Le peggiori.
Jano, come già detto, ha contattato Guido Bertolaso, e Bertolaso ha detto che non avrebbe abbandonato i volontari.
Ma facciamo una rapida digressione. Una digressione basata sul racconto di questi giorni delle persone coinvolte e, soprattutto, su come mi sia stato riassunto il "carteggio elettronico" che c'è stato fra Jano Alota e Guido Bertolaso.
L'ordinanza del 12 maggio 2010 io la ho citata subito, ma tecnicamente quell'ordinanza è stata citata a Jano come risposta alle sue perplessità, direttamente da Bertolaso in persona.
Analizziamola di nuovo, per qualche istante (le evidenziazioni sono mie):
Dopo il comma 1 dell'articolo 13 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3797 del 30 luglio 2009 (risarcimento dei danni agli stabili lesionati dal terremoto) è aggiunto il seguente comma: "2. Il rimborso di cui al comma 1 è riconosciuto anche ai soggetti debitamente autorizzati impiegati nelle operazioni di soccorso alle popolazioni colpite dagli eventi sismici, i cui beni siano stati distrutti o danneggiati per situazioni riconducibili all'avvenuto impiego nelle aree interessate dagli eventi sismici, tenuto conto degli eventuali concorrenti indennizzi assicurativi"
E quindi vediamo di capire una cosa. In Italia le normative di legge sono sottoposte ad interpretazione. L'interpretazione è data principalmente dal significato effettivo delle parole nella lingua italiana. Generalmente il legislatore, quando ha in mente che una legge abbia una funzione, fa in modo che il suo enunciato sia sottoposto ad una interpretazione il più possibile conforme a quell'idea, e in maniera soprattutto da evitare interpretazioni in direzione differente o, peggio ancora, opposte. Fu la locuzione "che sta appiccando" sulla nuova legislazione sugli incendi boschivi che ha "salvato" un contadino trovato con una ventina di inneschi da fuoco nello zainetto: li aveva, ma non è stato fermato "nell'atto di appiccare il fuoco".
Scusate la divagazione rapida, e torniamo a noi: cerchiamo di interpretare l'enunciato della legge che ho appena riportato.
"Soggetti" in italiano identifica le persone, ma nella sua accezione completa, ossia persone fisiche (i volontari), ma anche persone giuridiche (le associazioni). L'uso della parola soggetti nella norma infatti serve a coinvolgere nel risarcimento sia i volontari in sé che le associazioni in toto, a seconda di chi abbia effettivamente subito dei danni.
La parola "beni", invece, è sottoposta a un'interpretazione un po' più complessa. Sul vocabolario della lingua italiana, (mi sono riferito alla definizione sul sito "Treccani" la parola bene viene definita come segue:
Ogni mezzo atto alla soddisfazione dei bisogni dell'uomo (nel linguaggio economico, quasi sempre sinonimo di merce). In particolare: [...] beni mobili, immobili, produttivi, improduttivi; beni patrimoniali, quelli costituenti un patrimonio; [...] beni indiretti o strumentali, quelli utilizzati per produrre altri beni (per es., le materie prime, i macchinarî, ecc.), e con senso analogo bene capitale; beni diretti, quelli che senza ulteriori trasformazioni sono già in grado di soddisfare bisogni; beni di consumo, beni diretti destinati al soddisfacimento di bisogni individuali e familiari e che si distruggono con l'uso che se ne fa avendo comunque durata limitata; beni complementari  (o ad offerta congiunta), quelli che per soddisfare un bisogno debbono essere usati congiuntamente (automobili e benzina, elettrodomestici ed elettricità, ecc.); [...] Appartengono al linguaggio generico, non tecnico, altre espressioni, come beni necessarî, beni indispensabili, beni superflui, secondo che siano ritenuti tali per la vita dell'uomo e per la soddisfazione dei suoi vitali bisogni.
E quindi cerchiamo di dare un significato intrinseco alla parola beni che riguarda ciò che è rimasto coinvolto nell'attività dell'emergenza ed è andato distrutto.
Sono beni di certo gli automezzi. Ma sono beni anche i DPI in uso a tutti i volontari (i Dispositivi *COMPLETI* e non solo quelli inerenti l'uso in cucina da campo: siamo comunque operatori in servizio in luogo di terremoto, e pertanto dobbiamo essere adeguatamente protetti da rischi di crollo, caduta e via discorrendo).
E si suppone che siano beni anche tutti quegli oggetti non direttamente di protezione, ma relativi all'attività di cucina come ambito sanitario (pensate ai vestiti bianchi e gli zoccoli sanitari che deve utilizzare il cuoco).
Infine, considerate che chi lavora in cucina, al di là dell'azione fisica di cucinare, lavora a stretto contatto con cibi e bevande. E considerate pertanto che vi sono delle norme sanitarie di base a cui attenersi nell'atto di operare con gli alimenti: se io vado sul luogo di un terremoto per scavare tra le macerie, fondamentalmente mettere due o tre giorni di fila una maglietta sudata e impolverata se pur discutibile potrebbe non essere un grosso problema, ma viceversa prima di spostare cassette di verdura torna utile lavarsi le mani ed indossare abiti puliti. Sul luogo di un terremoto, in un turno di dieci giorni, potrebbe non essere virtualmente possibile lavare i panni, pertanto io volontario sono tenuto a portarmi appresso cambi di biancheria completi per tutto il turno, con un po' di scorta in caso di necessità. E parlo di ogni genere di cosa: pantaloni, magliette, camicie, biancheria intima, calzini, almeno un paio di felpe o maglioni in caso di freddo, e qualche capo di vestiario in più rispetto all'idea "uno al giorno" in caso di pioggia, o necessità comunque di cambiarsi più di una volta al giorno (E non parlo necessariamente di cambiarsi perché ci sia caldo o meno: se io scarico dodici pallet di verdura e li stocco in magazzino, scusatemi il francesismo, sudo come un cammello, anche se fuori ci sono dieci gradi. Fra il lavoro di magazzino prima di pranzo e quello prima di cena non era raro cambiarsi una maglietta sudata. Non le possiamo lavare, ergo che si fa? Ovvio: si mettono da parte le magliette sudate e per dieci giorni di turno uno se ne porta appresso almeno 18-20).
E non mi fermo. Beni sono anche gli strumenti che mi servono per poter vivere e lavorare: medicinali e terapie mediche non interrompibili (mettiamo che sono diabetico: mica posso saltare l'insulina!), occhiali da vista (con tutta la buona volontà del volontario, se uno ad esempio è miope, senza occhiali rischia di non vedere oltre la punta del proprio naso), eventuale apparecchio acustico...
Ancora altri beni di uso specifico sono i telefoni cellulari e/o le radio ricetrasmittenti, con i relativi caricabatterie (e non solo per tenersi in contatto con la famiglia, ma anche fra di noi durante gli spostamenti fra il campo e gli uffici COC, COM ed eventualmente DICOMAC). Non vorrei andare avanti, ma potrei includere le macchine fotografiche utilizzate non già per fotografare i terremotati al pari di animali allo zoo (come purtroppo è stato fatto da molti volontari), quanto piuttosto per documentare azioni o disagi sul campo (ad esempio in aprile quando abbiamo disteso diversi teloni per coprire le aree della cucina e del magazzino ove pioveva, o quando siamo intervenuti sulle nostre tende durante l'allagamento del campo, fu proprio il capocampo Giuseppe Chiarenza a chiederci di documentare fotograficamente questi lavori).
Bene. Avete quindi tutti in mente che cosa significa l'enunciato dell'ordinanza.
Ora ragioniamo. Esiste questa ordinanza, e prima di questa esiste il D.L. 194/2001.
Ed esiste Jano Alota, che quando si vede mandare a quel paese, scrive una e-mail a Guido Bertolaso in persona. E Bertolaso si mette a disposizione, come ho detto.
Ma non direttamente, per ovvi motivi logistici o legislativi: Bertolaso parla con i suoi collaboratori per quanto concerne l'ufficio legale e quello economico, poi risponde a Jano. Risponde e gli fornisce non solo riferimenti normativi, ma anche riferimenti personali: persone che Jano può contattare tranquillamente per sapere dell'evolversi della pratica.
Ma passa un altro mese. Finisce giugno, e Jano contatta le persone i cui nomi sono stati fatti da Bertolaso.
La risposta? Geniale.
Secondo l'ufficio legale del dipartimento nazionale di protezione civile, con il termine soggetti si indicano le associazioni, e con il termine beni si intendono solo i veicoli. Il dipartimento non ha intenzione di rimborsare alcunché di andato distrutto ai volontari, dimostrando che invece le normative vengono utilizzate solo per gettare fumo negli occhi di noi volontari. Jano ha raccontato questa storia a Guido Bertolaso, l'uomo che gli ha detto "noi non lasciamo i nostri volontari all'abbandono", ma sinora non si è mosso nulla.

Ora tutti noi vogliamo lanciare un messaggio. Un messaggio chiaro e netto, rivolto a tutti i volontari di protezione civile italiani.
Ragazzi, quando partite per un'emergenza, su richiesta del dipartimento nazionale di protezione civile, tenete sempre a mente che vi muovete a vostro rischio e pericolo, e che in caso di incidente di qualsiasi genere o danno, è evidente che il dipartimento nazionale si farà forte con la stampa parlando delle normative, ma alla fine lascerà tutti voi all'abbandono, così come ha fatto con noi.
Sono parole forti, ma il messaggio che sinora ha lanciato il dipartimento è questo, e se le cose da domani dovessere improbabilmente cambiare, state sicuri che l'unico cambiamento che avverrà sarà causato dalla nostra stanchezza: cercheremo di coinvolgere tutti gli altri media e gli altri canali d'informazione, e visto che nonostante le normative, il risultato è comunque l'abbandono, l'ultima arma che ci è rimasta è quella di cercare di "pestare i piedi" di qualcuno.
Visto? Se vogliamo una soluzione veloce, dobbiamo avere qualche amico nel dipartimento.
Personalmente queste cose mi fanno vivere la mia posizione di volontario in maniera del tutto nuova. Io faccio il volontario di protezione civile per portare aiuto a chi ne ha bisogno, di certo non affinché il dipartimento nazionale di protezione civile faccia bella figura vantandosi del lavoro eccezionale della macchina nella sua interezza. E continuerò a farlo tenendo nel cuore l'immagine delle popolazioni, ma soprattutto tenendo a mente quanti finzionari ci sono intorno a me.
Per concludere (ma solo per il momento: altri aggiornamenti potrebbero seguire), invito tutti quanti a diffondere il più possibile questa storiaccia, soprattutto diffondendo questo articolo del Blog, reperibile all'indirizzo web (facile da ricordare): http://www.incendioflorio.org/

mercoledì 26 maggio 2010

Colazione

0 commenti - [Leggi tutto]
Ogni mattina vado, fra le 6:45 e le 7, al bar a fare colazione.
Per me la prima colazione mattutina è un rito importante, perché è dalla buona riuscita che può cominciare correttamente la giornata. E da bravo orso, ho un difetto: sono molto goloso di miele. Ecco perché la mattina non scelgo un bar a caso, bensì cerco quel bar che:
a) dispone di cornetti integrali al miele;
b) fa un buon caffè e non mi fa storie per il mio megaristrettissimo in vetro;
c) ha un buon prezzo per questa colazione;
d) è frequentato e gestito da gente simpatica.
Esattamente nell'ordine indicato. Perché sono d'accordo che ci voglia un buon caffè, che sia piacevole avere intorno qualcuno con cui fare cinque minuti di conversazione e tutte queste belle cose. Ma se non ho il mio cornetto al miele, la cosa non funziona. Da due giorni è così: "Ehm, il pasticcere ha mandato solo i cornetti integrali con marmellata di mirtilli", dopo che per tre giorni ha mandato gli integrali bellamente VUOTI, qualche settimana fa.
Non mi piace essere pedante, ma mi lamento del fatto col gestore. Risposta del barista: "Lo so, ma lui mi dice che i cornetti integrali si fanno così"
La mia risposta? Ovvia!
Di norma è il barista che si adegua alle condizioni e richieste del cliente, e mai il contrario. Se io barista ogni mattina ho trenta-quaranta persone che per colazione si prendono un cornetto CON RIPIENO DI VONGOLE, il pasticcere può dirmi in tutte le lingue che fa schifo, ma ogni mattina mi deve comunque preparare e far avere una quarantina di cornetti alle vongole. Stop.
Ergo: o vi adeguate alla mia esigenza, o io - molto semplicemente - cambio bar e vado a fare colazione dove i cornetti al miele li trovo freschi tutte le mattine. Vediamo se perdendo i clienti cominciate a convincervi...
--
Grizzly - sul Nokia E90 Communicator

martedì 25 maggio 2010

Oroscopo

1 commenti - [Leggi tutto]
"Sono un capricorno, ascendente leone e con la luna in Urano durante la fase calante di venere sull'acquario. Oggi devo assolutamente evitare di prendere il caffè in ufficio perché qualcuno ha intenzione di farmi passare una pessima giornata. E stasera anche se ho la gastrite, cenetta a lume di candela col partner!"
Vi sembra folle, non è vero?
Sembra, ma non lo è. Ogni giorno ci sono milioni di persone che ascoltano l'oroscopo e ridono prima di cominciare una giornata lavorativa routinaria, e ci sono persone che invece non tirerebbero manco una scorreggia senza aver prima analizzato tutte le implicazioni astrologiche del loro segno zodiacale.
Io rientro in quella categoria che quando ascolta le previsioni lo fa tanto per ridere un po' a capo di mattina, prima di mettere mano alla solita quantità di pc da formattare. Una matttina stavo andando al bar per fare colazione e, come tutte le mattine, in auto avevo l'autoradio accesa (odio sentire il rumore del motore diesel). Il mio splendido oroscopo: "Vergine: giornata strepitosa per gli affari, concluderete un contratto importante, dedicatevi alle nuove idee". Sorrido, spengo l'auto ed entro nel bar. Tv accesa, e dopo cinque secondi che sono entrato, sento un altro oroscopo: "Vergine: giornata DISASTROSA per gli affari, evitate assolutamente le nuove idee e cercate di riprendere qualche vecchio progetto, ma accantonate le idee per oggi".
Ah però. Nel giro di, credo, dieci secondi, ho sentito tutto e l'esatto opposto!
Ma ciò nonostante, trovo ancora chi si è convinto che l'oroscopo è una scienza esatta, valida e ricca di leggi chiaramente univoche, anziché un contenitore di letame che in molti pretendono di descrivere e migliorare senza averlo mai visto...
Può anche andare bene che si cerchi di rendere la propria vita quel tantinello di frizzante in più, grazie al regalo di un po' di sana follia astrologica, ma non si deve mai perdere di vista il fatto che le cose non seguono un ordine cosmico prestabilito e influenzato dalle stelle, dai pianeti o dalla luna.
O almeno: questo è quello che penso io. E voi, invece?
(PS: l'avevo già detto, ma lo ripeto: possedere uno smartphone in questo momento mi fa scoprire un nuovo modo di pormi con il Blog. Forse a questa necessaria innovazione ci sono arrivato pure troppo tardi, ma questo non toglie che ne trarrò sempre più benefici...)
--
Grizzly - sul Nokia E90 Communicator

lunedì 24 maggio 2010

Invasione...?

1 commenti - [Leggi tutto]
[lo sapete che i miei sogni sono dei film, godetevi questo stavolta (-: ]
Siamo su un'isola deserta, o quasi.
Siamo in dieci, eravamo i concorrenti di un reality show, ma qualcosa è successo in questi giorni. Qualcosa che è successo a tutto il mondo, ed è qualcosa che ha a che fare con un'invasione extraterrestre.
Il punto è l'isola. L'isola è, appunto, isolata. E sull'isola proprio ieri si è schiantato un disco volante. Fra noi dieci ci sono pareri contrastanti su quello che è successo. Sull'isola non ci sono operatori perché le telecamere presenti lavorano automaticamente, ma sono stato proprio io quello a rendersi conto per primo che molte telecamere hanno smesso di funzionare proprio da quel momento.
E siamo al secondo giorno dallo schianto dell'UFO. Siamo un gruppo molto omogeneo: ci sono addirittura una ragazza-madre sulla trentina, la figlia di cinque anni, e addirittura la madre/nonna: una ex ragazza madre anch'essa, sulla settantina (portati relativamente bene), un po' svampita e convinta di essere una specie di maga e illusionista, anche se in realtà appare piuttosto come una forma di demenza senile simil-alzheimer. Ma ciò nonostante è comunque una persona molto simpatica.
Dicevo, siamo nel secondo giorno dopo la caduta dell'UFO. Non siamo andati ad approfondire molto, dato che il disco appare praticamente sbriciolato, anche se una grossa sezione appare quasi del tutto intatta, dispone di una cosa che abbiamo identificato come tre "sedili", ma non appare nessuna creatura.
Sono sulla spiaggia, in compagnia di Sofia (la ragazza madre) e della piccola Ambra. Stiamo guardando il mare dell'alba, e Ambra sta giocando con una creatura che ha trovato lì vicino, che ricorda una via di mezzo fra un orsacchiotto di peluche e il cucciolo di extraterrestre partorito e acchiappato al volo da Will Smith nel film "Man in Black". L'impressione che sia uno dei tre esseri extraterrestri precipitati con l'UFO sull'isola è evidente, ma dato che l'essere appare praticamente innocuo, la lasciamo fare mentre pensiamo su come organizzarci sul da farsi.
Ma c'è qualcosa che non mi convince, in quegli occhioni da cucciolotto smarrito che hanno fatto letteralmente innamorare la piccola Ambra.
Mi avvicino all'acqua, mi sciacquo un po' la faccia, poi mi rendo conto di una cosa: ho un fastidio, e mentre mi sciacquo la faccia guardo, solo con la coda dell'occhio, verso il mio fianco sinistro, dove la bambina sta giocando con quel pupazzo-ebe. E lo noto: l'extraterrestre appare non più grande di quaranta, forse cinquanta centimetri, ma la sua ombra proietta un'immagine decisamente diversa. Senza un motivo specifico mi riempio le mani di acqua e vado a bagnare il cucciolo di alieno, spiegando ad Ambra: -Siamo sulla spiaggia, sotto il sole, non è tanto salubre restare così sotto il centro del sole.
Infatti il cucciolo sembra assumere lentamente una tinta più scura, una voce telepatica suona all'unisono nelle nostre menti: "No, state tranquilli: anche io, come d'altronde voi, sotto il sole mi sto abbronzando un po', tutto qui". Ma c'è qualcosa che ho notato, e il qualcosa che ho notato è che il cucciolo ha leccato parte dell'acqua salata e, senza battere ciglio, gli chiedo: -Tu ti nutri di acqua salata, non è vero?
Ma è l'azione successiva che si dimostra eccellente. George (non so perché un nome straniero, ma so che si chiama così) si avvicina con un secchiello pieno di acqua dolce e, all'improvviso, tira un tremendo gavettone a extraterrestre e bambina, gridando: -Ci sta prendendo in giro, guardate cos'è sul serio!
La reazione del cucciolo all'acqua dolce tende ad essere quello di qualcuno che sta annaspando poco prima di annegare. Nel giro di qualche istante l'immagine celebrale del cucciolotto coccoloso lascia il posto a quella di una specie di gigante, grigio, con la testa ampia, gli occhi neri enormi e un'espressione decisamente stizzita, anche se dolorante. Ambra fa un balzo all'indietro gridando terrorizzata mentre io e George ci avventiamo sull'essere e riusciamo ad averne la meglio. L'essere reagisce con violenza, ma attaccandolo al sottile collo, nel quale troviamo poca resistenza ossea, ne otteniamo una rapida ed inquietante decapitazione.
Ci alziamo, Sofia si allontana con la bambina fra le braccia, si avvicinano altri partecipanti e intanto vediamo il corpo grigio che, sotto la luce del sole, assume di nuovo quella tinta marrone che stava assumendo il cucciolo "abbronzato", solo che nel giro di un paio di minuti il corpo rinsecchisce quasi completamente e comincia a diventare polvere, lasciando in vista solo un'inquietante scheletro che, se pur deformato, non è del tutto dissimile da quello di noi umani.
Ci ritroviamo nella tenda, la sera. Siamo letteralmente chiusi nella tenda, ma manca la madre di Sofia. Stiamo discutendo proprio del fatto che George è stato il primo ad accorgersi dell'inganno dei tre extraterrestri, e di essersene accorto perché è stato "attaccato" dal primo dei tre, che a causa delle ferite riportate però non è stato in grado di mantenere a lungo le immagini mentali che gli stava proiettando (quelle di un suo collega di lavoro che voleva fargli credere di essere venuto lì per liberarlo e riportarlo a casa); è riuscito ad averne qualche informazione prima di sopraffarlo del tutto, scoprendo l'ottima difesa dell'acqua dolce.
Poi parliamo dell'essere che aveva plagiato Ambra, e infine la discussione cade su quali idee o intenzioni possano avere questi esseri extraterrestri nei nostri confronti, e che comunque le stesse appaiono decisamente ostili.
In quella irrompe nella tenda, come suo solito, la madre di Sofia. Porta con se una specie di coltellaccio di acciaio lucido (in realtà appare come una sorta di grossa paletta da torta, molto lavorata, ed estremamente lucida) e ci spiega: -Questo maledetto affare, non so come dirlo, mi ha seguita fino a qui fuori. Poi sono riuscita a prenderlo in mano e, ora, sembra la cosa più innocua del mondo!
Di solito abbiamo sembre dato adito alle sue sparate con dei "sì, sì. Certo, certo", ma stavolta i nostri "certo" e "naturalmente" suonano molto più convinti. Ma in quella George e Sofia si pongono qualche dubbio e, mentre la madre guarda tutti come se non fosse aspettata una reazione così accondiscendente, è proprio sua figlia quella che riprende la parola: -Certo mamma. Ti crediamo. Come quando fai quel numero, hai presente? Quando fai comparire l'ascensore...
La madre sorride, e noto con la coda dell'occhio (perché sto guardando la figlia Sofia) che improvvisamente gli occhi le luccicano di grigio. E una frazione di secondo dopo luccicano di grigio anche gli occhi di molte altre persone circostanti.
-Certo, cara. Ma lo faccio subito!
Chiudono tutti gli occhi per qualche secondo (tutti, tranne me, che li socchiudo senza cancellarmi il campo visivo), e quando li riapriamo a sinistra della signora, in un punto vuoto e sospeso a mezz'aria, appare un'affare che galleggia a mezz'aria, come una specie di armadio a due ante, in metallo con delle rifiniture in ferro battuto in stile liberty (dovrebbe essere il famoso "ascensore"?). La nonna invita subito la nipotina a salire a bordo di quell'ascensore magico, ma non prima di aver offerto a tutti (è apparso anche una tavola rotonda molto grande in mezzo a noi, scarna e spoglia ma con un paio di bicchieri davanti a ciascuno di noi) dell'ottimo te freddo rinfrescante.
Sofia prende Ambra in braccio, e dopo aver detto un "no" a denti stretti copre gli occhi alla piccola e si gira dando le spalle alla madre, che guarda di nuovo tutti con un'espressione sorpresa. Mentre George le si avvicina, le toglie di mano quella specie di coltello abnorme e, all'improvviso, glielo pianta in pieno stomaco dicendo solo: -Già, bella mossa. Peccato che i poteri mentali della signora fossero solo una convinzione, e non fossero niente di reale. Avete acquisito la mente della signora, ma non so che cosa ne abbiate fatto della signora stessa, ma non riuscirete a farla anche a noi.
La signora in un morph inquietante si trasforma nel gigante grigio con gli occhioni neri che era stato anche l'alieno sulla spiaggia. George senza mezzi termini estrae il coltellaccio dallo stomaco dell'essere [che appare intriso di una sostanza blu-violacea (sangue alieno?)] e lo usa per tagliare con un colpo netto la testa al mostro.
-Ora siamo liberi: tre sedili c'erano, e tre mostri abbiamo ucciso. Domani mattina forse riusciremo a metterci in contatto con qualcuno per uscire da questa maledetta isola e tornarcene a casa, sempre che ci sia ancora una casa in cui tornare.
Mattina dopo. Abbiamo dormito tutti nella tenda, ma ci siamo svegliati all'alba quando il rumore di un elicottero ci ha fatti trasalire.
Una persona si fionda dentro la tenda: è un ufficiale dell'esercito, che ci dice che finalmente sono riusciti a scacciare gli alieni da tutta la terra, e che hanno intenzione di riportarci a casa. Stanno uscendo tutti dalla tenda, e io sono l'ultimo, ma faccio segno agli altri di aspettare. Perché ho imparato una cosa: il loro sistema di difesa celebrale non funziona quando si guarda con la coda dell'occhio, e c'è una cosa che ho visto con la coda dell'occhio.
-Tenente, le dispiacerebbe spiegarmi una cosa?
-Dimmi, ragazzo.
-Se lei è venuto qui con un intero esercito, e qui fuori ci sono tre elicotteri, dei carri armati e almeno un centinaio di uomini (lo prendo al braccio e gli punto il mio temperino svizzero al collo), mi vorrebbe spiegare come mai nessuno dei suoi uomini o mezzi proietta un'ombra?
Una goccia di sudore imperla la fronte del militare, mentre all'improvviso l'immagine dei soldati che c'è fuori rimane, ma nel più assoluto silenzio dell'isola, come se fosse un film a cui qualcuno all'improvviso ha tolto il sonoro.
-Chi credevi di fregare, noi?
La mia frase giunge pochi istanti prima che il mio temperino affondi nel soffice collo del militare, che lentamente torna ad assumere la forma del mostro alieno a cui siamo già abituati. Questo mentre le immagini dell'esercito che ci sono fuori "lampeggiano" prima di svanire, come un segnale televisivo disturbato.
Ci troviamo di nuovo sull'isola, da soli, in mezzo al nulla. George prende la parola: -Ma com'è possibile, l'abbiamo visto tutti che erano tre! Adesso viene fuori che erano quattro?
-No, mio buon amico, erano sempre tre, anzi: sono sempre tre. Uno l'abbiamo ucciso sulla spiaggia, uno l'ho appena fatto fuori io. Il terzo è quello che ha fatto fuori prima George, e poi la madre di Sofia, dopo che il compare gli aveva donato telepaticamente quel poco di potere che serviva a fargli avverare le allucinazioni di cui soffriva. Volevate ucciderci tutti, uno dopo l'altro, non è vero? Il gioco è finito. Ma tu non morirai, George, o non so più come chiamarti. Tu sarai il nostro biglietto di ritorno alle nostre case.
Il sudore sulla fronte di George cade copioso, mentre anche la sua immagine lentamente lascia il posto a quella dell'ultimo mostro alieno.

E il buio cala, mentre l'immagine ritorna a quella della mia camera da letto: YAWWWNNNNNNN! Sono le cinque meno venti... è un po' prestino ma non eccessivamente. Mi sa che è venuta l'ora di alzarsi.
Buongiorno Lucky... questo sogno mi ha divertito, anche se io non sono uno di quelli che prende e uccide extraterrestri come se piovesse. Però mi è piaciuto... La prossima volta, però, cerchiamo di essere meno violenti e più simili al Dottore, ti va? Ok, mi alzo e vado a fare la doccia. La giornata comincia! ((-:

giovedì 20 maggio 2010

Scene di vita su di un isola dell'egeo

2 commenti - [Leggi tutto]
Sono passati anni, ma ancora è forte il ricordo...

Scene di vita su di un'isola dell'Egeo (1996-1997) da asbesto su Vimeo.

Grazie a tutti, e ad asbesto per averlo condiviso con tutti. (-:

mercoledì 12 maggio 2010

Sicurezza, professionalità, serietà, abusi

0 commenti - [Leggi tutto]
Il 29 maggio 1985, nello stadio "Re Baldovino" di Heysel, in Belgio, una ben più che approssimativa gestione dell'ordine pubblico intorno a una manifestazione sportiva provoca la ben nota strage, facendo cambiare alla Comunità Europea le idee su come vanno manutenzionate queste manifestazioni. In Italia verrà successivamente introdotto quello che - a mio parere - è uno dei migliori metodi di prevenzione: il D.A.SPO.
Ma andiamo avanti. Nel 1993 viene arrestato Totò Riina. Una geniale azione di risposta alla strategia delle bombe usata dalla mafia siciliana, ma con pagine oscure come la tardiva perquisizione della casa, costata il suo completo svuotamento (non mi ricordo la fonte, ma disse che quando finalmente si procedette alla perquisizione, l'ambiente era persino stato pulito con la candeggina).
E andiamo ancora avanti.
Febbraio 2007, Catania. Scontri fra tifoserie culminati in qualche arresto, ma soprattutto la morte dell'ispettore Raciti. E continuiamo ancora.
Parma. Un'operazione antidroga in borghese gestita dalla polizia locale [tra l'altro in palese violazione di una filata di normative che spaziano dal TULPS al codice penale (ma qualcuno ha pensato che se fosse passato, la butto lì, un carabiniere fuori servizio, a vedere dieci persone in borghese che trattengono due persone urlando e allontanando i presenti, si rischiava che quello gli ribaltasse addosso un paio di caricatori della pistola d'ordinanza?)] si conclude con un pestaggio e una serie di azioni, da parte del comune e del dipartimento di polizia municipale a dir poco discutibili.


E andiamo ancora avanti. Federico Aldrovandi, Stefano Cucchi, Stefano Gugliotta.
E andiamo ancora avanti: i fatti di Genova, il caso della "Uno Bianca", Unabomber e il depistaggio del RIS di Parma.
E ora fermiamoci un attimo a riflettere.
Quando si parla di sicurezza di uno stato democratico, si discute di professionalità e serietà di coloro i quali sono impegnati a garantire tale sicurezza.
La sicurezza di uno stato democratico si suppone essere quell'insieme di gesti ed azioni tali che sia possibile girare per le strade della città senza venire aggrediti, rapinati, accoltellati o quelchelè. Un insieme di gesti ed azioni atte a contrastare ogni genere di comportamento che contrasti con le normative vigenti a tutela dello Stato, dei Cittadini, dell'amministrazione, del rispetto della vita umana.
Tale risultato (la sicurezza) lo si ottiene per mezzo di una corretta sinergia fra tutti i gradi di prevenzione, contrasto, giudizio e condanna.
Se io accoltello una persona e la uccido, io devo venire arrestato, essere processato e ricevere una condanna. Se io rapino, aggredisco, truffo o faccio comunque qualcosa che sia contrario alle normative vigenti, devo essere arrestato, sottoposto a un processo, condannato e devo scontare la mia pena.
La pena da un lato deve essere un deterrente tale che il rischio che si avveri su di me mi tenga ben lontano dal compiere quell'azione, e deve essere commisurata alla gravità dell'azione.
In Italia si parla tanto di certezza della pena. Il problema, soprattutto degli ultimi governi, è che quando scoppia un caso mediatico (ossia il caso di qualcosa che colpisce la coscienza di tutto e di tutti, grazie alla diffusione che viene data sulla stampa o sui media d'informazione in genere), spesso succede un errore: l'errore che il legislatore (ossia chi è al governo) si faccia travolgere dall'onda per ragionare con i paroloni che fanno audience sui media, ma perdendo di vista quello che invece gli si chiede in termini di sicurezza.
Sono otto anni che quando qualcosa passa sulla televisione, su internet, sulla radio o sui giornali, qualcosa che urta le coscienze degli italiani, c'è sempre qualche parlamentare che si alza a risolutore definitivo, dando aria alle corde vocali per invocare "pene più severe".
Le leggi ci sono (non mi stancherò più di dirlo: ci sono leggi che dicono tutto, il contrario di tutto e il contrario delle precedenti!), e le pene anche. Prima di finire col minacciare di otto anni di galera chi ruba una mela per fame, facciamo una pausa.
La giustizia è lenta. Dopo l'arresto, possono seguire anni e anni per un processo, fino a chiudersi con la prescrizione del reato, e finire in casi patologici come Mills, che sì, ha ricevuto soldi dal presidente del consiglio, ma troppo tempo prima della pronuncia di una condanna definitiva (e nonostante la ben nota dichiarazione di assoluzione fatta dal tg1 il 26 febbraio di quest'anno).
E la giustizia non funziona, perché da sempre si usano due pesi e due misure. Quando muore qualcuno in carcere, anche se in attesa di processo è sempre un porco, un drogato e/o dio solo sa cos'altro. Se muore un agente di polizia, prima di tutto bisogna tessere le sue lodi. Se due ragazzini si spalmano contro un albero con l'auto sulla statale, erano ubriachi e l'incidente è stato provocato dall'alta velocità. Se invece a morire sono tre agenti della GdF che, in licenza, stavano rientrando in caserma, e l'auto ha fatto 80 metri fuoristrada spalmandosi su un albero e andando completamente disintegrata, guai a dire che è stata colpa dell'alta velocità, perché le cause dell'incidente sono del tutto ignote.
Se qualcuno riprende sei carabinieri che si accaniscono contro un ragazzo magrebino steso a terra, e uno ci si butta addosso di pieno peso con gesto da Wrestler, stiamo assistendo a un pestaggio presunto, mentre se un facinoroso tira un bolognino beccando un agente in testa, eh, no: lì non c'è più nessuna presunzione. Ultimamente ho scoperto una novità: abbiamo i filmati in due direzioni. Se le forze dell'ordine filmano gente allo stadio che se le dà di santa ragione, il filmato (e mi pare anche giusto) è una prova sufficiente per prendere tutti quelli che sono riconoscibili, arrestarli e praticare decine di DASPO. Se decine di filmati mostrano lo sparo di lacrimogeni ad altezza uomo, manganellate tirate con lo sfollagente a rovescio sulla testa di gente che è in ginocchio con le mani alzate (Genova docet) o un agente che prende un ragazzo di peso da un motorino e senza nessun motivo gli tira un pugno in pieno volto, noooooooooooooooooo: bisogna indagare, bisogna vedere, bisogna capire, ma dopo le indagini vediamo, se è il caso di indagare qualcuno. Ma niente paura! Se qualcuno ha sbagliato, se saranno accertate delle responsabilità, se mio nonno c'avesse avuto le ruote, se non interverranno la prescrizione o la non riconoscibilità degli agenti coinvolti, allora ci saranno severe condanne.
Il punto è uno, ed è semplice. Gestire la sicurezza è un lavoraccio, irto di difficoltà. Gli errori succedono fra le forze dell'ordine (e temo che le mele marce siano ben più di qualcuno isolato), ma anche le risse succedono, e succedono le devastazioni di piazza, e succede che senza cariche, senza lacrimogeni, senza arresti, senza una seria e funzionale gestione di una folla inferocita, si rischia la pura anarchia, e anche che una città venga messa a ferro e fuoco.
Per fronteggiare una folla inferocita di centinaia di esaltati che tirano sassi e bombe carta portandosi appresso un elmetto, uno sfollagente in fibra di carbonio gommata e uno scudo di policarbonato ci vuole fegato.
Ci vuole sangue freddo, ma soprattutto fegato, foderato di piombo. Dieci persone in mezzo alla folla tirano una decina di bolognini e bottiglie a testa, col kefia sulla faccia. Poi si indietreggia durante la carica, il kefia nella spazzatura e tutti in ginocchio con le mani alzate mentre la polizia avanza. Ecco: i cattivi poliziotti ce l'hanno con gli inermi e gli indifesi. Facile: così siamo bravi tutti.
Esistono molti modi per controllare l'avanzamento di una folla inferocita. Ci sono delle tecniche (avanzare compatti battendo i manganelli contro gli scudi, per produrre il rumore di un'armata che avanza, ad esempio) che sono collaudate da anni. E quando non basta creare un'immagine di forza, si carica. Si disperde, si usano gas lacrimogeni, spray urticanti, si fa (in Italia lo si fa pochissimo, eppure è uno dei sistemi più funzionali) largo uso di getti di acqua gelata ad alta pressione (un paio di manichette da 70 con l'acqua sparata a 5-6kilopascal sono un efficacissimo deterrente). Si potrebbero usare anche proiettili di gomma e granate stordenti/lancianti pallini di gomma, come si fa negli USA. Ci sono tanti modi, ma il metodo principale per affrontare e controllare una folla che avanza, una gigantesca rissa, è prima di tutto un sapiente, come diceva il buon Poirot, uso delle piccole celluline grigie.
Tenere in esercizio il cervello, peraltro, è utile quando poi serve prendere decisioni immediate, rapide, durante lo svilupparsi degli eventi: ad esempio quando fuori dallo stadio due tifoserie contrapposte si stanno scambiando una quantità industriale di papagni, per fermarsi solo giusto il tempo di coalizzarsi e lanciare quello che c'è a portata di mano contro gli agenti che sono lì con l'intenzione di riportare la calma.
Io sono stanco del perbenismo che invade la cronaca italiana ogni volta che i tutori dell'ordine sono coinvolti in indagini talvolta particolarmente scottanti, anche se riconosco che questo perbenismo è legato indissolubilmente al fatto che ogni mela marcia macchia l'uniforme di tanti padri di famiglia, di tanti eroi.
Tanti eroi, non tutti. L'errore che si fa, purtroppo, è questo. Quando una mela marcia infanga il buon nome delle FdO, dovrebbero essere gli stessi colleghi a fargli tabula rasa intorno. Invece in uno spirito di squadra legato alla non voglio dire palese, ma comunque diffusa impunità di molte mele marce, fa sì che si creino sempre di più fazioni contrapposte.
Pochi giorni fa ha fatto scalpore, negli USA, il filmato di un arresto di due sospetti di una rapina a mano armata, durante il quale un ragazzo messicano, fermato per sbaglio, prima viene insultato, minacciato e pestato, poi liberato. Gli agenti coinvolti si sono scusati in lacrime al telegiornale, ma ora (dato che al contrario che in Italia, in America manca spesso il senso della misura) sono stati sospesi, incriminati e rischiano fino a quindici anni di galera per una serie di reati (maltrattamenti, arresto irregolare, razzismo, insulti e compagnia briscola). Non è la prima volta che assistiamo a fatti del genere (sapete perché sono molto diffusi filmati del genere in USA? Perché piazzare la manina sull'obiettivo della telecamera è una violazione del, mi pare, terzo emendamento, e si prendono quasi automaticamente diversi anni di galera per palese violazione dei diritti civili. Per questo non lo fa mai nessuno), e la questione da dibattere con la situazione italiana non è il contesto. Non è la pena (due, massimo tre anni reclusione mi sembrano più che adeguati), ma la serietà del sistema giudiziario che pone chiunque si trovi davanti al giudice sempre allo stesso livello (avete presente "la legge è uguale per tutti"? Non è un caso se per "L'essenza oltre il buio" abbiamo scelto la frase "La legge non fa distinzione di razza o credo religioso").
In questo momento storico ci vorrebbe un po' di quiete: bisogna auspicarsi che la giustizia faccia il suo corso. Personalmente mi auspico che chi ha sbagliato paghi, non gravemente per lanciare un messaggio agli altri agenti che pensano di vivere in un film americano di serie z, ma sufficientemente da rendersi conto che "fare il proprio lavoro" è una cosa, prendere a pugni qualcuno, per quanto criminale possa essere, no.

domenica 2 maggio 2010

Aggiornamento storia di ufo

0 commenti - [Leggi tutto]
Ieri sera ho avuto una discussione molto interessante con Francesco Candelari, a proposito della sua foto di un presunto UFO di qualche tempo fa.
Per aggiornamenti, vi invito a dare una sguardata all'articolo dedicato "Dopopranzo con... UFO?".