Quando andavo in prima media, c'era un ragazzo di terza, grande&grosso, che faceva il bullo. Più di una volta questo ragazzo s'era messo nei guai, finché in una settimana prese a scaricare la sua tensione nervosa menando le mani.
Un bel giorno si scaricò su di me. Era il doppio di me, e mi prese a pugni e calci, mentre molti altri compagni di classe miei e suoi rimanevano a guardare.
Me la vidi brutta, molto brutta. Eravamo "fuori da scuola" alle otto meno dieci, in attesa di entrare, ma ero troppo ferito (fisicamente e psicologicamente) per fargliela passare. E lo segnalai al direttore didattico, che prima chiamò lui e poi i miei genitori.
E i suoi compagni di classe poi mi dissero che il ragazzo era inferocito e mi avrebbe "aspettato all'uscita" per darmi il resto. Finché mio padre non prese il provvedimento civile, ossia quello di dire al direttore didattico che "non me ne frega niente se il ragazzo è stato sospeso per una settimana e sono stati chiamati i suoi genitori. Io adesso porto mio figlio in ospedale, lo faccio visitare e quindi stilo una querela. E se lei non mi dice come si chiama la persona coinvolta, le garantisco che chiamo i carabinieri ADESSO e la querela la faccio contro di lei".
Non so che fine abbia fatto 'sto tizio, ma so che la querela se la prese, e che dei suoi bollenti spiriti ne parlò anche qualche giornale locale, visto che dopo la mia querela vennero fuori i genitori di altri cinque ragazzini che erano stati menati ma non avevano detto nulla.
Parliamo di quando andavo in prima media. Avevo undici anni, era il 1987, l'anno prima delle olimpiadi di Seoul. Erano VENTISEI anni fa, non ieri. Zuckerberg stava imparando a camminare e dire le sue prime parole, alla nascita di Youtube mancavano DICIOTTO anni.
Però il bullismo c'era. E i compagni che gridavano "forza dai dagliele" e "dai lascialo stare" restando a distanza già c'erano.
Piantatela di riempirvi la bocca con la storia che il bullismo è colpa dei social network, perché quello che manca è solo un po' di sana cultura e qualche sacro scappellotto (come me li sono presi anche io, da giovane) anziché pensare che l'educazione dei propri figli sia un compito che debbano assolvere ESCLUSIVAMENTE altre persone. Ma sottolineo l'esclusivamente, perché lo strumento chiamato "educazione civica" è anche compito della scuola, questo sì. ANCHE, non SOLO, attenzione. Per cui accolgo anche con un certo sollievo il sapere che per il caso del "ragazzo coi pantaloni rosa" anche alcuni docenti e il preside sono sotto indagine: ignorare i messaggi di disagio è comunque un errore.
Ma fatevene una ragione: accusare di bullismo gli strumenti come il social network, è come accusare le farmacie che vendono siringhe perché ci sono eroinomani...
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